Nadra Wilson, una cittadina americana residente in Virginia, aveva ricevuto una notifica dall’ufficio elettorale locale che metteva in dubbio la sua cittadinanza e minacciava l’annullamento della sua registrazione elettorale.
A causa della tardiva comunicazione, arrivata quando aveva superato la scadenza imposta di 14 giorni per confermare la propria provenienza, la donna ora probabilmente non potrà votare. La Corte Suprema degli Stati Uniti infatti si è pronunciata consentendo per ora alla Virginia di bloccare il voto sia di Wilson che di altri circa 1.600 elettori rimossi dalle liste.
Quanto accaduto è in parte dovuto a un programma che applica una legge statale del 2006 supportata dal governatore repubblicano Glenn Youngkin, che richiede una verifica della nazionalità per rimuovere gli elettori che non hanno diritto al voto. La vicenda di Wilson è solo una delle tante in cui soggetti legittimi sono stati esclusi dal registro elettorale per errori procedurali.
Il giudice distrettuale Patricia Tolliver Giles aveva dichiarato che la legge del 2006 viola il diritto federale, perché rimuove i nominativi nell’imminenza di una votazione, interferendo con il National Voter Registration Act, la disposizione che promuove i diritti di voto, e che richiede una sospensione dei programmi di controllo delle liste elettorali nei 90 giorni precedenti un’elezione.
Secondo Youngkin, invece, la sentenza rischiava di reintegrare negli elenchi dei “non cittadini”, nonostante diversi errori abbiano riguardato solo americani. Anna Dorman, avvocatessa di Protect Democracy, un’organizzazione senza scopo di lucro, ha sottolineato che molti cittadini erano inconsapevoli della loro esclusione dal registro elettorale o avevano ignorato l’avviso ricevuto considerandolo una truffa. Il caso porta alla luce i rischi dei programmi di rimozione elettorale eccessivamente rigorosi e la necessità di bilanciare la sicurezza del processo elettorale con il rispetto per i diritti civili, soprattutto a ridosso delle elezioni.