In una vasta area ricoperta dalla fitta vegetazione nello stato messicano di Campeche è stata scoperta una città Maya, rinominata Valeriana.
Rimasta nascosta per secoli, è emersa grazie all’utilizzo della tecnologia Lidar, una tecnica avanzata di telerilevamento che usa impulsi laser per mappare il terreno e rivelare strutture sotterranee. Gli archeologi hanno rinvenuto piramidi, piazze, anfiteatri, campi sportivi, strade rialzate e migliaia di edifici che riconducono a una società complessa.
La scoperta, fatta per caso da Luke Auld-Thomas, dell’Università di Tulane, di New Orleans, in Louisiana, è avvenuta mentre il ricercatore analizzava dati di un’indagine condotta per il monitoraggio ambientale.
Grazie ai risultati, Auld-Thomas ha individuato il nucleo urbano che, al suo apice, tra il 750 e l’850 d.C., potrebbe aver ospitato fino a 50.000 persone, molte più di quelle che popolano adesso la regione. Valeriana sembra avere i tratti distintivi di una capitale, con due centri principali e grandi strutture collegate da fitti insediamenti residenziali.
Marcello Canuto, professore e coautore della ricerca, ha commentato che questa scoperta contribuisce a sfatare il mito che i Tropici fossero un ambiente inospitale per le civiltà avanzate: “Non erano luoghi dove si andava a morire, ma in cui prosperavano culture ricche e articolate”.
Auld-Thomas e Canuto hanno portato alla luce tre siti, dei quali Valeriana è il più maestoso per densità di edifici, secondo solo al vicino Calakmul, uno dei più grandi centri Maya conosciuti.
La tecnologia Lidar ha rivoluzionato l’archeologia nelle zone tropicali, consentendo agli studiosi di mappare in pochi anni aree estese. Grazie a questa procedura, molte rovine fino a ora rimaste ignote sono divenute accessibili agli studiosi.
“Abbiamo rilevato così tanti siti che è impossibile pensare di portarli tutti alla luce”, spiega Auld-Thomas. Valeriana stessa, nonostante sia a breve distanza da una strada principale, potrebbe non essere esplorata a fondo.
L’analisi dei luoghi ha portato alla scoperta di un totale di 6.764 edifici di varie dimensioni, come templi e bacini idrici, che indicano abilità nella gestione delle risorse e dell’ambiente per sostenere una popolazione così numerosa.
“Questo paesaggio era completamente abitato, non desertificato e selvaggio come può sembrare oggi,” spiega Elizabeth Graham, professoressa dell’University College di Londra. Quando le civiltà Maya crollarono intorno all’800 d.C., fu probabilmente a causa della densità demografica e delle sfide climatiche. Auld-Thomas ipotizza che la popolazione non avesse sufficienti risorse e flessibilità per adattarsi alle prolungate siccità, che avrebbero successivamente portato alla frammentazione della civiltà.
“Andare a Valeriana sarebbe fantastico,” sottolinea Auld-Thomas, “ma non possiamo garantire un progetto di esplorazione.” La scoperta rappresenta infatti solo la punta di un iceberg: la giungla messicana nasconde ancora molte città dimenticate, che testimoniano il passaggio di popolazioni che prosperarono nell’antica America Latina.