Donald Trump è tornato in comizio ad Atlanta, Kamala Harris e Tim Walz cercano di conquistare i giovanissimi in Michigan: siamo alle ultime battute della corsa per la Casa Bianca, manca giusto una settimana e i due candidati si concentrano su quei sette Stati chiave dove si giocherà il risultato.
Harris con il comizio di Ann Arbor ha cercato anche di rassicurare i democratici, mentre cresce l’ansia di fronte ai sondaggi che la danno testa a test con l’ex presidente repubblicano. La città è sinonimo dell’Università del Michigan con i suoi quasi 53mila studenti, e gli elettori giovanissimi al primo voto tradizionalmente sono un bacino cruciale per i Dem. Parlando in un parco a sud del campus universitario, la vicepresidente candidata democratica ha affrontato le ansie esistenziali di una generazione che vive tempi inquietanti.
“Mi rivolgo proprio a tutti i giovani leader, tutti gli studenti. Amo la vostra generazione, davvero, e una cosa importante è che voi siete giustamente impazienti che le cose cambino” ha detto. “Avete conosciuto solo il cambiamento climatico e guidate la carica per proteggere il pianeta e il futuro. Siete cresciuti con le esercitazioni contro le sparatorie nelle scuole e combattere per mantenerle sicure. Oggi avete meno diritti delle vostre madri e delle vostre nonne” ha aggiunto tornando a parlare di aborto, “e lottate per la libertà riproduttiva. Per voi, lo so, queste non sono faccende teoriche. Questa è politica, è la vostra esperienza di vita, io vi capisco e ammiro il vostro potere”. Messaggio per i giovani del Michigan – Stato in bilico che potrebbe votare Trump – e per tutti i giovani d’America.
Il candidato repubblicano invece, per la seconda volta in pochi giorni, è tornato ad Atlanta in Georgia, con lo slogan “Make Georgia Great Again” cercando di ammassare consensi in un altro Stato chiave; dove però c’è sempre meno da raccogliere, perché il voto anticipato qui è fortissimo e ha già passato i 3 milioni, oltre il 40% degli elettori registrati (nel 2020 votarono in 4 milioni). Quando ha chiesto alla folla chi avesse già votato, una buona metà ha alzato le mani, e lui: “Dobbiamo finire l’opera”.
Per lo più si è concentrato sui suoi temi abituali, in testa i rischi dell’immigrazione, ma ha anche preso di petto l’avversaria descrivendo la sua campagna come un’opera di “odio e demonizzazione” e le sue strategie come “di sinistra radicale, da pazza”.
Ha anche cercato di fare un po’ di controllo del danno rispetto al comizio al Madison Square Garden di domenica, dove gli insulti verso neri e latini avevano tenuto banco e hanno provocato un’ondata di critiche anche da parte repubblicana. “Dicono: è Hitler. Dicono: è un nazista. Io sono l’opposto di un nazista. Come può Kamala Harris guidare l’America se odia gli americani? È gente molto cattiva, sono una minaccia per la democrazia” ha assicurato.
Da sinistra in effetti l’evento di New York è stato paragonato al comizio nazista che si tenne proprio al MSG prima della guerra. La strategia del campo Trump è il rovesciamento delle accuse: la campagna di odio viene dai democratici. La parlamentare Marjorie Taylor Greene, sul podio prima dell’ex presidente, ha suonato la carica: “Siamo stufi di essere chiamati nazisti e fascisti. Sono bugie totali, e non lo tollereremo più”, ha aggiunto minacciando una class action. “Questa retorica è il motivo per cui ricevo minacce di morte”.
Anche ad Atlanta il pubblico era molto giovane, molto più della media dei comizi in Georgia: si teneva presso l’università Georgia Tech e forse un quarto erano studenti o recenti laureati. L’ateneo è meno politicamente attivo dell’University of Georgia, della Georgia State University o della Emory University, dove quest’anno si sono svolte rumorose manifestazioni per la guerra a Gaza. Prima dell’arrivo di Trump comunque un gruppo di studenti filopalestinesi ha montato al centro di Georgia Tech una mostra imponente di bandiere in memoria dei morti nella Striscia. Tema che gioca a sfavore di entrambi i candidati. Renee Alnoubani, studentessa di ingegneria civile, ha detto al Guardian che “ogni giorno dovremmo parlare della guerra a Gaza. Qualunque leader, e soprattutto un candidato alla Presidenza, ha la responsabilità di lavorare intensamente per la fine del genocidio, con ogni atomo di potere che ha”.