È difficile da capire la strategia elettorale di Donald Trump. Forse proprio il comizio di ieri potrebbe essere stata la “sorpresa di ottobre” di queste elezioni, un clamoroso autogol ad una settimana dal voto. Tra pochi giorni i risultati ci diranno se la visione politica dell’ex presidente con la sua feroce retorica razzista, rimarcata domenica sera al Madison Square Garden avrà prodotto quell’esito da lui sperato, o se, invece, quest’affondo con le feroci battute contro gli immigrati, i portoricani, i neri,sia stata quell’ultima spinta che ha allontanato i repubblicani moderati e i pochi “indecisi” che, in una competizione elettorale così serrata, diventano sempre più l’ago della bilancia.

Un mistero stabilire cosa abbia indotto l’ex presidente a lanciarsi in un affondo così pesante a pochi giorni dalle elezioni. Forse lo ha fatto per cercare di conquistare anche New York, lo Stato a lui più ostile e dove Trump ha le sue radici familiari e di investimenti, o forse la voglia di proiettare sicurezza e convincere i suoi elettori che se non vince è solo per un’altra frode.
Il desiderio di questo bagno di folla delirante, aizzata dai commenti razzisti, che applaudiva, rideva, urlava il suo nome sarà stato forse per lui autogratificante ma sicuramente non produttivo perché quanti prendono parte ai suoi raduni sono già persone che voteranno per lui, mentre i riverberi del fiele elettorale versato nel suo comizio travalicano ben oltre i suoi osannanti elettori.
Nelle più di cinque ore di rabbia, cospirazioni, razzismo si sono alternati sul podio prima dell’ex presidente il comico Tony Hinchcliffe, che ha lanciato i suoi insulti sui portoricani. Sid Rosenberg un conduttore radiofonico conservatore che in passato ha definito Doug Emhoff, “un ebreo di m…a”, Grant Cardone, che ha detto che Kamala Harris è una prostituta: “Lei e i suoi protettori distruggeranno il nostro Paese”.

Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, ha sostenuto che poiché i palestinesi hanno commesso violenze, gli americani non solo non si debbono fidare di loro, ma debbono impedire che entrino negli Stati Uniti.
Stephen Miller, il consigliere di Trump e architetto della politica sull’immigrazione dell’ex presidente ha detto che l’America “è per gli americani e solo per gli americani”. “America for Americans” era lo slogan usato dal Ku Klux Klan.
L’ex conduttore di Fox News Tucker Carlson ha riproposto la sua narrativa affermando che i bianchi sono una maggioranza calunniata e oppressa, ripetendo la teoria della “sostituzione”, la visione razzista secondo cui i democratici stanno cercando di “sostituire” gli americani bianchi con gli stranieri “non bianchi”.
Cinque ore condite da ringhiose battute contro tutti quelli che sono contrari al Trump-pensiero ripetutamente definiti “nemici all’interno”, quelle “quinte colonne” che hanno inspirato i dittatori a dare la caccia ai loro oppositori.
Un insulto alla decenza che ha mandato onde d’urto in tutto il paese, suscitando condanne persino da parte dei legislatori repubblicani. Il fatto poi che lo speaker della Camera, Mike Johnson, abbia preso parte a questo delirio xenofobo non solo ha ulteriormente abbassato il livello politico, ma è stata la prova di come Trump abbia trasformato il Grand Old Party. Una visione vergognosa per un partito che della legge e dell’ordine aveva fatto il suo motto d’orgoglio, che ora si è inginocchiato in una servile devozione a Trump.
Il comizio al Madison Square Garden avrebbe dovuto fornire le argomentazioni conclusive per eleggerlo e, invece, ora a pochi giorni dal voto, l’ex presidente è confrontato dalla sua retorica che può ignorare gli oltre 3 milioni di abitanti di Porto Rico, che sono cittadini statunitensi ma che non votano nelle elezioni presidenziali, ma non può ignorare le centinaia di migliaia di portoricani che vivono negli Stati Uniti, molti in Stati “indecisi” come Pennsylvania, Carolina del Nord e Wisconsin e gran parte dell’elettorato latino americano.
Commenti razzisti che si aggiungono a quelli fatti contro gli haitiani che “mangiano cani e gatti” e vivono a Springfield in Ohio o ad Aurora, in Colorado, o contro i venezuelani “liberati dal carcere e dai manicomi”. O quelli di ieri in cui Trump ha ripetutamente descritto i migranti come “criminali crudeli e assetati di sangue”.
“Trump non fa altro che alimentare l’odio e dividere l’America. La gente è stanca e vuole voltare pagina” afferma Kamala Harris. “È al di sotto di qualsiasi presidente – ha commentato Joe Biden – ma è a questo che ci stiamo abituando. Ecco perché questa elezione è così importante”.
La parlamentare democratica Alexandria Ocasio-Cortez, che è figlia di due portoricani, ha definito l’evento al Madison Square Garden “il comizio dell’odio”. “Non era solo una manifestazione elettorale. Questi sono i mini-raduni del 6 gennaio. Trump e i suoi alleati non rispettano la legge”, ha detto la deputata sottolineando che Trump “incita alla violenza e all’odio contro i latinoamericani, contro i neri americani, contro gli americani che non hanno figli. Questo è lo stesso odio che ha motivato l’assalto al Congresso”.
L’America ora è a un bivio: tra pochi giorni gli elettori dovranno decidere se gli Stati Uniti sono ancora il paese dell’accettazione, dove le differenze etniche sono parte integrante del tessuto sociale, quel Pluribus Unum che per 250 anni ha caratterizzato la nazione, o se invece rispolverano la dottrina di Monroe con “l’America agli americani”.