E’ una corsa frenetica quella dei due candidati alle elezioni presidenziali. Un’ansia per il voto che ha contagiato gli elettori: i seggi elettorali si apriranno tra 9 giorni, ma già sono più di trentadue milioni gli americani che hanno votato. E, sia ben chiaro, negli Stati del Nord Est, con l’eccezione del New Hampshire dove non è permesso, il voto anticipato di persona a New York e nel New Jersey è solo possibile da oggi, così come in Michigan e in Florida. Vota anticipatamente l’America che ha visto le restrizioni elettorali e le persone che temono il maltempo per Election Day.
Dopo che ieri l’editore del Los Angeles Times aveva bloccato l’appoggio editoriale del prestigioso giornale della California a Kamala Harris, oggi il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos, ha scritto che non appoggerà nessuno dei due candidati. William Lewis, CEO del giornale, ha scritto nella pagina delle opinioni che in questo modo il giornale intende tornare “alle nostre radici di non sostenere candidati presidenziali”. Il comitato editoriale dello storico quotidiano da oltre trenta anni ha appoggiato uno dei candidati, mentre ora, in quelle che sono forse le elezioni più polarizzate della storia, ha deciso di non esporsi.
La candidata democratica, invece, ha ricevuto l’endorsement del New York Times. “È difficile immaginare un candidato più indegno di Donald Trump a ricoprire la carica di presidente degli Stati Uniti – scrive il quotidiano – . Si è dimostrato moralmente inadatto a un incarico che chiede al suo occupante di mettere il bene della nazione al di sopra dell’interesse personale. Si è dimostrato temperamentalmente inadatto a un ruolo che richiede proprio le qualità (saggezza, onestà, empatia, coraggio, moderazione, umiltà, disciplina) di cui è più carente. Queste caratteristiche squalificanti sono aggravate da tutto il resto che limita la sua capacità di adempiere ai doveri del presidente: le sue numerose questioni penali, la sua età avanzata, la sua fondamentale mancanza di interesse per la politica e il suo gruppo di collaboratori sempre più bizzarri. Questa verità inequivocabile e scoraggiante – prosegue il New York Times – (Donald Trump non è adatto ad essere presidente) dovrebbe essere sufficiente per qualsiasi elettore che tenga alla salute del nostro Paese e alla stabilità della nostra democrazia per negargli la rielezione. Per questo motivo, indipendentemente da qualsiasi disaccordo politico che gli elettori possano avere con lei, Kamala Harris è l’unica scelta patriottica per essere presidente. Per questo la candidata democratica riceve l’endorsmente del New York Times”.
Sia Donald Trump che Kamala Harris hanno il weekend denso di appuntamenti, a cominciare da ieri sera dove la candidata democratica è andata a Houston, in Texas e con lei sul palco ancora Bruce Springsteen, con l’aggiunta di Beyoncé e Willie Nelson, questi ultimi due texani DOC. Un comizio quello fatto da Kamala sulle scelte per la maternità. Nel pomeriggio era stata intervistata da Willie Moore Jr. un comico, attore e cantante che ha un seguitissimo podcast tra i teenagers americani.
Trump invece ha tenuto un comizio a Austin, unica grande città del Texas ad amministrazione democratica, dove ha parlato di immigrazione al fianco del senatore repubblicano Ted Cruz. Ha anche registrato un’intervista di tre ore sul podcast di Joe Rogan, autore del popolarissimo podcast con 15 milioni di ascoltatori. In passato Joe Rogan aveva più volte dichiarato che non voleva intervistare Donald Trump. Rogan è una figura controversa e con un passato di estrema destra, ed è stato un forte sostenitore dei no vax. La lunga chiacchierata con Joe Rogan ha causato ore di ritardo del comizio che ha tenuto in Michigan e molti dei suoi sostenitori dopo la lunga attesa sono andati via. Giovedì sera l’ex presidente aveva lanciato forse uno dei suoi più offensivi discorsi di queste elezioni. In un comizio tenuto a Tempe in Arizona, ha paragonato gli Stati Uniti a un “bidone della spazzatura” riferendosi al gran numero di immigrati clandestini accolti e mantenuti nel paese.
La vicepresidente Kamala Harris oggi terrà un comizio a Kalamazoo, in Michigan, con l’ex first lady Michelle Obama. Il suo compagno di corsa, Tim Walz, incontrerà gli elettori nel Sud Ovest con una giornata piena di comizi in New Mexico, Arizona e Nevada. L’ex presidente Donald Trump invece va vicino a Detroit a Novi, Michigan, e poi a State College, Pennsylvania, sede della Penn State.
Ieri sera a Traverse, in Michigan, l’ex presidente ha detto di essere l’unico baluardo contro il presunto declino della prima potenza mondiale, rinfocolando la narrativa di “un esercito di bande di migranti che stanno portando avanti una campagna di violenza e terrore contro i nostri cittadini” e di “un’invasione di migranti criminali importati da Kamala”.
Domani Trump terrà un grande raduno al Madison Square Garden di New York, con l’intenzione di mostrare il “caos” che secondo lui soffrono gli abitanti di New York a causa i democratici. “La storia del Garden – scrive il New York Times – è stata segnata anche, nel 1939, da un comizio a sostegno di Adolf Hitler, dove 20.000 sostenitori si scagliarono contro la “stampa controllata dagli ebrei” e incoronarono George Washington come America’s First fascist”, il primo fascista d’America. Un riferimento che il giornale lega alle recenti accuse mosse che gli sono state fatte dal suo ex capo dello staff della Casa Bianca, John F. Kelly, secondo il quale Trump rientra nella definizione di “fascista”. New York e il Madison Square Garden sono un territorio ostile per l’ex presidente: nel 2016 e nel 2020 ha perso nello stato per ben 23 punti percentuali. Nonostante questo Trump sogna ancora di poter conquistare New York rispondendo, a suon di voti, alle varie sentenze che la città gli ha inflitto, dall’incriminazione per la pornostar Stormy Daniels alla diffamazione della scrittrice E. Jean Carroll. Per il comizio sono state decise imponenti misure di sicurezza. Tutta la zona intorno alla 34ma Strada e Settima Avenue è stata chiusa al traffico.
Tredici ex funzionari che hanno lavorato alla Casa Bianca con Donald Trump hanno firmato una lettera aperta a sostegno dell’ex generale e capo dello staff John Kelly e delle sue dichiarazioni che definiscono l’ex presidente un fascista. La lettera è stata sottoscritta tra gli altri dall’ex portavoce di Trump, Stephanie Grisham, dall’ex capo dello staff del Dipartimento della sicurezza interna Miles Taylor e da Olivia Troye, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Mike Pence. “Siamo tutti Repubblicani da sempre che hanno servito il nostro Paese. Tuttavia, ci sono momenti nella storia in cui è necessario anteporre il Paese al partito. Questo è uno di quei momenti”, continuano ancora gli ex collaboratori di Trump che hanno sottolineato che “poiché conosciamo Trump e abbiamo lavorato per e con lui, purtroppo non siamo rimasti sorpresi da ciò che il generale Kelly ha riferito. Questo è ciò che è Donald Trump”.
Secondo The Hill, che ha analizzato i risultati dell’Election Lab della Florida il 40,8% pari a 6,7 milioni di elettori che hanno già votato si sono registrati come democratici e il 35,8% pari a 5,8 milioni registrati come repubblicani. Più di 4 milioni sono “indipendenti”.
Quasi 32 milioni di persone hanno già espresso il loro voto da quando è iniziato il voto anticipato a livello nazionale. Secondo il tracker per il voto anticipato dell’University of Florida Election Lab, fino a venerdì mattina 32.678.726 persone hanno già votato con oltre 15 milioni che lo hanno fatto di persona, mentre più di 17 milioni di elettori hanno inviato la scheda per posta. Sono state richieste oltre 64 milioni di schede per posta, secondo il tracker. Tra questi elettori, quasi 9 milioni provengono dai 7 stati indecisi. Hanno votato di più le donne, 54,2 percento contro 43,9 percento degli uomini, in Colorado, Georgia, Idaho, Michigan, North Carolina e Virginia, secondo i dati del laboratorio. Il gruppo più numeroso di elettori è stato quello dei “senior”, le persone sopra i 65 anni.
Secondo La CNN la California – lo stato più popoloso del Paese – è in testa con oltre 3,2 milioni di voti espressi finora, mentre Florida, Texas, Georgia e Carolina del Nord hanno tutti superato la soglia dei 2 milioni di voti.
I sondaggi danno i candidati in un inscrutabile parità: entrambi al 48%. Poi le analisi sono contrastanti. Secondo il New York Times il fatto che Kamala Harris abbia perso il vantaggio che aveva su Trump è un segno negativo. Altri sondaggi, YouGov e Morning Consult, hanno assegnato alla vicepresidente quattro punti di vantaggio sull’ex presidente.
Una maggiore chiarezza ci potrebbe essere dalla prossima settimana. Negli Stati “rossi”, quelli con le amministrazioni repubblicane che hanno messo in atto misure restrittive per il voto, gli organizzatori elettorali democratici hanno pianificato per i prossimi due weekend i “pellegrinaggi elettorali”.
Storicamente le congregazioni delle chiese afroamericane conducono una campagna per mandare gli elettori ai seggi. Originariamente per contrastare le tattiche razziste contenute nelle leggi Jim Crow (nome emblematico dello stalliere nero del Sud, sciancato, che nei teatri dell’Ottocento era impersonato da un bianco che si anneriva il viso) sono le leggi emanate negli Stati del sud a partire dal 1876 che contribuirono a sistematizzare la segregazione razziale per i neri e i membri di altri gruppi etnici diversi dai bianchi. Leggi emanate allora dal Congresso che sancivano la separazione fisica – nelle scuole, nei luoghi pubblici, sui mezzi di trasporto, nei bagni, nei ristoranti e che non permettevano i matrimoni “misti”– e avevano anche il preciso obiettivo di ostacolare l’esercizio del diritto di voto a chi apparteneva a queste comunità.
Il voto anticipato nella comunità nera è promosso dai pulpiti delle chiese quasi quanto dai candidati. E la domenica, dopo i servizi religiosi, i fedeli vengono trasportati in autobus ai seggi per il voto anticipato, o vengono aiutati a riempire i moduli per il voto per posta. Leader di queste operazioni in Georgia è Stacy Abrams, che ha organizzato le elezioni vinte da Biden nel 2020 e che ha mandato al Senato due candidati democratici.