Il Giappone grazie all’espansione del lavoro a distanza, cerca di attirare sempre più nomadi digitali, punta su di loro per stimolare le economie locali e affrontare le sfide legate all’invecchiamento della popolazione.
Questa particolare categoria di professionisti che opera da remoto grazie alla tecnologia è in grado di spostarsi liberamente da un paese all’altro. La nuova modalità di lavoro si è diffusa a metà degli anni 2000, quando Internet si è esteso in maniera capillare.
Secondo quanto riportato dal sito di viaggi A Brother Abroad, attualmente ci sarebbero circa 35 milioni di viaggiatori digitali disseminati in tutto il mondo, con un impatto economico significativo: ciascuno di loro spenderebbe in media circa 22.500 dollari all’anno, contribuendo alle economie dei paesi in cui soggiorna.
Per incentivare questo flusso, il Giappone ha introdotto a marzo un nuovo visto valido sei mesi, allineandosi ad altri paesi asiatici che cercano di attrarre questi lavoratori altamente qualificati.
Il visto consentirà ai possessori, assieme ai loro congiunti, di risiedere nel paese del Sol Levante, con un’unica condizione: il loro reddito annuale dovrà essere di almeno 10 milioni di yen, circa 66.700 dollari. Alla scadenza del permesso, sarà possibile fare una nuova richiesta dopo ulteriori sei mesi.
Ryo Osera, direttore esecutivo della Japan Digital Nomad Association, ha descritto questa iniziativa governativa come un “passo importante”. Tuttavia, ha sottolineato che la durata di ingresso concessa è più breve rispetto a quella offerta da altri stati vicini e che i detentori non possono stipulare contratti con le aziende giapponesi locali durante la permanenza.
Osera ha poi ribadito l’importanza di attrarre residenti a lungo termine, in modo da contrastare la crisi demografica e il calo delle nascite. “È essenziale puntare sui nomadi digitali, possano contribuire in modo duraturo all’economia giapponese, soprattutto se ci proiettiamo in avanti di 10 o 20 anni”.