Da paria internazionale a centro del “nuovo mondo” multipolare. Al summit BRICS di Kazan (22-24 ottobre) pare essersi verificata la metamorfosi della Russia di Vladimir Putin.
Il Cremlino ha potuto rivendicare con orgoglio come, nonostante gli sforzi dell’Occidente di isolare Mosca dopo l’invasione armata dell’Ucraina, il suo Paese stia assumendo un ruolo sempre più centrale all’interno di un gruppo di nazioni capace di influenzare il futuro dell’ordine internazionale.
Un simbolo emblematico della legittimità che la Russia sta cercando di costruire è rappresentato dall’arrivo in Tatarstan del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che non a caso ha suscitato asprissime critiche da parte dell’Ucraina. “Bisogna parlare con tutti”, la replica del funzionario onusiano di origini portoghesi, che non ha nemmeno lesinato una salda stretta di mano con il 71enne leader russo accusato di crimini di guerra.
E così, mentre gli Stati Uniti e i loro alleati sembrano sempre meno in grado di plasmare unilateralmente l’ordine globale, molti Paesi del “Sud globale” si avvicinano a centri di potere alternativi, spesso a causa dell’incapacità (o della riluttanza) a unirsi a club esclusivi come il G7 o le alleanze militari guidate dagli Stati Uniti. Ma soprattutto sempre più frustrati dalle istituzioni finanziarie globali dominate da Washington, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale.
Da quando è stato fondato quindici anni fa, il BRICS ha affrontato innumerevoli pronostici di fallimento. I suoi membri provengono da contesti estremamente diversi e spesso si trovano in netto contrasto su vari temi fondamentali. Eppure, il gruppo ha dimostrato una resilienza a tratti sorprendente. Anche dopo il terremoto geopolitico scatenato dall’invasione russa dell’Ucraina e il crescente attrito tra Cina e Stati Uniti, l’interesse per l’adesione al BRICS non è diminuito, forse visto da molti Paesi in via di sviluppo come un veicolo utile per orientarsi in un futuro incerto.
Ma c’è comunque da fare i conti con una frattura interna. Alcuni membri, in particolare Cina e Russia, aspirano a utilizzare il BRICS come una coalizione esplicitamente anti-occidentale. In questo senso potrebbe essere letto l’ingresso dell’Iran, avversario storico di Washington. Ma altri membri, come Brasile e India, hanno un punto di vista meno ortodosso. Entrambi i Paesi cercano infatti di mantenere relazioni stabili con gli Stati Uniti e i suoi alleati, dato che le loro economie sono vulnerabili a crisi globali.
Il summit di Kazan segna comunque un’importante tappa nel tentativo della Russia di trasformare il raggruppamento concepito da Goldman Sachs in un contro-ordine globale.
Le origini del BRIC risalgono al 2006, quando la Russia organizzò il primo incontro dei ministri degli esteri a New York in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nel giugno 2009, il presidente russo Dmitrij Medvedev accolse i leader di Brasile, Cina e India per un summit inaugurale a Ekaterinburg, e nel 2010 il gruppo accolse il Sudafrica, completando così l’acronimo BRICS. All’epoca, la crisi finanziaria globale aveva accresciuto l’interesse per il BRICS: la debolezza dei regolatori americani e l’inefficienza delle istituzioni di Bretton Woods avevano spinto a invocare una redistribuzione del potere economico e della responsabilità dall’Occidente verso il mondo in via di sviluppo. In quel contesto, il BRICS si era affermato come il club più rappresentativo di tale desiderio di cambiamento.
Inizialmente, Mosca e i suoi partner lavoravano per migliorare l’ordine esistente, non per demolirlo. Nel 2014, il BRICS annunciò la creazione della New Development Bank (NDB), concepita per integrare le istituzioni internazionali esistenti e costituire una rete di sicurezza finanziaria per i membri in difficoltà. Con l’annessione della Crimea nel 2014 e il conflitto in Ucraina orientale, tuttavia, la Russia iniziò a vedere il BRICS come un’oasi dalla crescente egemonia degli Stati Uniti. Un’impressione che si è via via intensificata, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022.
A crescere è stato però anche l’interesse per l’adesione al BRICS. I legami della Russia con i membri del BRICS, come Cina e India, hanno permesso al regime di affrontare le sanzioni occidentali, anche se le restrizioni americane continuano a influenzare anche i Paesi che non intendono punire Mosca per la guerra in Ucraina. La pressione della Casa Bianca ha costretto molte banche cinesi a sospendere le transazioni con i partner russi, complicando così i pagamenti e aumentando i costi per gli importatori russi. Mosca ha scoperto che le sanzioni americane si applicano non solo ai pagamenti in dollari, ma anche a quelli in yuan. E che le restrizioni hanno colpito anche la NDB, che la Russia sperava potesse fornire finanziamenti in un periodo di isolamento.

Il BRICS rimane centrale nella strategia globale di Putin. Prima di febbraio 2022, Mosca aspirava a un ordine multipolare in cui poter bilanciare i rapporti con le due potenze più forti, Cina e Stati Uniti. L’invasione dell’Ucraina ha però distrutto le ultime tracce di pragmatismo nella politica estera del Cremlino. Putin percepisce in sostanza il conflitto come parte di una più ampia contesa con l’Occidente, e perciò il suo obiettivo è quello di minare le posizioni degli Stati Uniti dovunque, contribuendo a rafforzare la sfida di Pechino all’egemonia americana. L’approccio si riflette in vari settori, inclusi i trasferimenti di tecnologia militare avanzata a Cina, Iran e Corea del Nord, e nella promozione di sistemi di pagamento alternativi che possano bypassare le norme occidentali.
Nel contesto di questa lotta contro il “monopolio” occidentale, la Russia ha identificato come obiettivo primario la volontà di indebolire il dominio del dollaro nelle transazioni finanziarie internazionali. Mosca si auspica di costruire un sistema di pagamento e un’infrastruttura finanziaria “immune” alle sanzioni proprio attraverso il BRICS. Gli Stati Uniti, questa la tesi, possono esercitare pressioni sugli alleati internazionali della Russia uno alla volta, ma sarà molto più difficile – se non impossibile – farlo se questi Paesi aderissero a un sistema alternativo, composto da pesi massimi come Brasile, India e Arabia Saudita.
Per raggiungere il suo obiettivo, però, la Russia potrebbe dover ammettere di non essere il Paese leader (o primus inter pares) del nuovo ordine multipolare. Perché quel ruolo non può che appartenere alla Cina.
Durante la crisi finanziaria globale del 2008-2010, Pechino condivise il desiderio di Mosca di rendere il raggruppamento BRICS più rilevante. Eppure, sotto la guida di Hu Jintao, si dimostrò riluttante ad assumere il ruolo di leader del gruppo, continuando a seguire la strategia del profilo basso inaugurata da Deng Xiaoping. Le cose sono cambiate sotto la leadership di Xi Jinping, che vede il BRICS come una piattaforma chiave per promuovere un ordine mondiale multipolare. Negli ultimi anni, la Cina ha aumentato il suo sostegno economico e politico al gruppo, incoraggiando i Paesi in via di sviluppo ad unirsi per consolidare la posizione cinese all’interno di un blocco che contrasti il dominio occidentale e la leadership americana aumentando al contempo la sua influenza nei mercati emergenti.
La Russia, pur avendo bisogno del supporto cinese, teme di diventare un “satellite” di Pechino. Di qui il dilemma amletico: da un lato, la necessità di allearsi con la Cina per contrastare le sanzioni e l’isolamento, dall’altro, il rischio di compromettere la propria sovranità e il proprio ruolo di potenza regionale.