È un profondo scontro istituzionale quello scoppiato in Italia attorno al tentativo del governo Meloni di inviare in un centro di detenzione in Albania – costato 800 milioni di euro – i migranti suscettibili di essere rimpatriati rapidamente. I primi migranti, appena 16, sono però stati trasferiti in Italia su ordine del tribunale di Roma: 12 di loro perché provenienti da paesi “non sicuri”. In base a una direttiva europea del 2013 infatti è possibile detenere i migranti, ma solo se vengono da paesi “sicuri” dove quindi non corrono rischi se rimpatriati. Ma i 12 in questione venivano da Egitto e Bangladesh.

Il problema è che questo scontro italiano – il governo di destra lunedì ha varato un nuovo decreto legge che vorrebbe ridefinire il concetto di “paese sicuro” – prefigura l’intenzione di molti paesi europei di fare lo stesso, con prevedibili stop da parte dei tribunali per rispetto del diritto internazionale. Già la Gran Bretagna aveva cercato di esternalizzare il processo di richiesta d’asilo mandando i migranti in Ruanda – tentativo fallito del governo conservatore Sunik, e ancora non riesumato dal governo laburista di Keir Starmer. Ma in Europa molti paesi e la stessa Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, si dichiarano estremamente interessati dall’esperimento Albania – e non vedono l’ora di scoprire come andrà a finire. Solo il premier socialista spagnolo Pedro Sanchez ha dichiarato che non è la soluzione giusta.
Potrebbe essere un’idea che piace anche agli Stati Uniti. Finora gli USA hanno firmato un accordo con il Messico per centri di detenzione oltre frontiera, con buon successo per quanto riguarda il numero degli arrivi – ma non ci sono ancora accordi per trasportare fuori dal territorio americano i migranti in attesa di risposta dalle commissioni per l’asilo.
Dall’altra parte dell’Atlantico, il dibattito riguarda i migranti che sono già arrivati nelle acque territoriali italiane o almeno nella zona SAR (Search and Rescue) di competenza dell’Italia. Per tutti quelli che sono fuori, potenziali rifugiati o meno, le cose sono diverse, spiega Ferruccio Pastore, direttore del FIERI, il centro internazionale di ricerca di Torino, un’associazione indipendente che studia le migrazioni dal 2001. “A monte c’è una fitta rete di accordi con Paesi di transito, o anche di origine, di migranti irregolari e potenziali richiedenti asilo, che è finalizzata a prevenire la partenza o comunque l’arrivo sulle navi italiane pubbliche o delle ONG. Stiamo parlando ovviamente degli accordi con la Libia, con la Tunisia, con la Turchia, con l’Egitto. Paesi che si sono tutti impegnati per conto nostro a frenare queste partenze o a intercettarle, finché sono ancora nelle loro acque territoriali. Naturalmente questi non sono Paesi sicuri, anzi, alcuni di questi sono tra i paesi più insicuri al mondo per un giovane africano in fuga”.

Fin qui, però, chi riusciva dopo un infinito viaggio della speranza a entrare in Europa, anche se poi veniva magari deportato, doveva essere almeno ascoltato su territorio europeo – dove è accolto in centri che non sono di detenzione, e dove fornire assistenza legale è più facile.
Il nuovo decreto del governo di Roma però potrebbe non sbloccare la situazione. Anzi: “tutte le voci dei giuristi che si sono pronunciati in queste ore sono concordi” dice Pastore: “il decreto legge non cambia in maniera radicale i termini della questione, che rimane fondamentalmente che un Paese terzo da cui proviene un richiedente asilo debba essere considerato integralmente sicuro, quindi in tutte le sue parti, e rispetto a tutte le categorie di potenziali richiedenti asilo”. Il nuovo decreto invece si limita a definire sicuri i paesi dove le condizioni sono uguali in tutte le zone geografiche – anche se hanno leggi discriminatorie, ad esempio, per persone LGBTI+.
Pastore insiste: “Questa impossibilità deriva da una direttiva del 2013 a cui tutti i governi hanno acconsentito, compreso quello italiano. O si cambia quella direttiva oppure così stanno le cose. Per ora l’Unione europea ha effettivamente deciso di cambiare questa norma nel giugno di quest’anno, ma questo nuovo Patto per l’immigrazione e per l’asilo entrerà in vigore solo nel giugno 2026. Insomma secondo la maggioranza dei giuristi, i centri albanesi sono destinati a rimanere vuoti per un bel po'”.
“Questo scontro istituzionale italiano” aggiunge però “è un’anticipazione. Ancora una volta l’Italia si mostra laboratorio di sviluppi europei non necessariamente brillanti. È uno scontro in ultima analisi tra da un lato fra alcune maggioranze politiche e dall’altro fra princìpi che fino a ieri erano considerati i fondamenti delle democrazie liberali europee: cioè il principio che appunto se qualcuno si presenta alle tue frontiere ed è bisognoso di aiuto tu glielo dai, non lo porti altrove”.
“Io credo” conclude Pastore “che l’Europa si trovi in una situazione di grandissima confusione strategica. Siamo un continente in declino oggettivo dal punto di vista demografico e in parte dal punto di vista economico. Senza un apporto demografico esterno siamo condannati al declino, è matematico. Eppure non riusciamo a conciliare la soluzione – che non è l’immigrazione da sola, quello è un pezzo della soluzione, ma un pezzo direi imprescindibile, almeno nel breve medio e termine – con queste nostre paure che in parte sono alimentate artificiosamente”.
Completamente diverso – fuori dal coro europeo – è appunto il premier socialista spagnolo. Da Lisbona, Pedro Sanchez ha lanciato un invito a costruire “una visione positiva” dell’immigrazione: “L’Europa è in un inverno demografico e si può affrontare in vari modi. Con la tecnologica, aumentando la produttività. Con politiche per la natalità, ma ammettiamolo, non avremo mai l’indice di natalità che la Spagna per esempio aveva negli anni Ottanta. Tre, la migrazione. Quasi il 50% della crescita economica in Spagna negli ultimi 20 anni è venuto dal contributo dell’immigrazione alla crescita economica”. Quindi abbiamo bisogno dell’immigrazione. Che sia legale, ordinata e sicura, ma deve esserci. È il grande dibattito che dobbiamo affrontare in Europa” ha aggiunto. E con una stoccata ai centri italiani in Albania: “Da qui in Spagna quando ascolto proposte sulla costruzione di centri in paesi terzi dico come sempre: non risolve nulla e crea nuovi problemi”.