Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe comunicato all’amministrazione Biden la propria disponibilità a colpire infrastrutture militari in Iran, anziché impianti petroliferi o nucleari, con l’obiettivo di contenere l’escalation in Medio Oriente. A riportarlo è il Washington Post citando due funzionari a conoscenza della questione che sottolineano come lo Stato ebraico voglia evitare lo scenario di una guerra su vasta scala.
Tel Aviv ha promesso di rispondere duramente al secondo attacco missilistico diretto da parte dell’Iran in sei mesi, avvenuto due settimane fa e che Teheran ha definito una rappresaglia per l’uccisione dell’ex leader politico di Hamas İsmail Haniye a Teheran a luglio e all’assassinio del comandante di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il mese scorso a Beirut. Ma con le elezioni statunitensi a meno di un mese, Joe Biden avrebbe chiarito a “Bibi” che non appoggerebbe un attacco israeliano a strutture nucleari.
Sarebbe stato proprio durante una telefonata con Biden, la prima dallo scorso agosto, che Netanyahu avrebbe confermato l’intenzione di mirare alle infrastrutture militari iraniane, secondo un funzionario statunitense. Una decisione che sembra aver rassicurato Washington, evitando un’interferenza diretta nelle elezioni americane, dal momento che un attacco su impianti petroliferi o nucleari avrebbe potuto far schizzare i prezzi dell’energia o cancellare le poche linee rosse ancora in piedi tra Israele e Teheran.
Il colpo sarebbe programmato prima delle elezioni statunitensi del 5 novembre, per evitare che un’assenza di azione venga interpretata dall’Iran come un segno di debolezza. Tuttavia, fonti vicine alla difesa israeliana temono che l’operazione non sarà abbastanza incisiva da scoraggiare Teheran dal tentare nuovi attacchi o dal proseguire il suo programma nucleare.
In Israele si discute dopotutto se l’attacco debba essere più spettacolare o più mirato. Alcuni, tra cui l’ex capo dell’intelligence del Mossad, Zohar Palti, mettono in guardia sul delicato equilibrio da mantenere: senza il supporto statunitense, Israele non può combattere, ma è proprio Israele ad assumersi i rischi maggiori
Intanto, negli scorsi giorni il Pentagono ha annunciato l’invio di una batteria THAAD di difesa missilistica in Israele, sottolineando il fermo impegno degli Stati Uniti nella difesa del Paese e l’allineamento strategico tra Netanyahu e Washington (anche se il premier israeliano ha ribadito che le decisioni finali saranno prese sulla base degli interessi nazionali israeliani).
L’impressione è che a preoccupare il team di Netanyahu sia soprattutto la prospettiva che le elezioni 5 novembre consacrino Kamala Harris. La vicepresidente democratica, questo il timore, potrebbe infatti sfruttare la recente elezione del presidente riformista iraniano Masoud Pezeshkian per riaprire i negoziati nucleari con la Repubblica Islamica – che lo Stato ebraico ha più volte giudicato una linea rossa per la propria sicurezza nazionale.
L’escalation militare tra Tel Aviv e Teheran si è intensificata dopo il bombardamento dell’ambasciata iraniana a Damasco, in Siria, il 1° aprile, in un raid che ha ucciso diversi alti ufficiali militari. L’Iran ha risposto all’attacco lanciando centinaia di droni e missili balistici contro Israele qualche giorno dopo, anche se quasi tutti sono stati intercettati da Israele, dagli Stati Uniti e dai suoi alleati regionali.