Un raid aereo israeliano ha distrutto venerdì mattina una strada nei pressi del valico di Masnaa, tra il Libano e la Siria, paralizzando un crocevia utilizzato da migliaia di rifugiati per lo più siriani in fuga dai bombardamenti dello Stato ebraico.
Il ministro dei Trasporti libanese, Ali Hamieh, ha spiegato che l’intensità dei bombardamenti ha provocato un cratere largo 4 metri dalla parte libanese del confine. Le autorità di Beirut stimano che oltre 300.000 persone abbiano attraversato la frontiera verso la Siria negli ultimi dieci giorni a causa delle operazione belliche dell’esercito israeliano.
L’IDF ha giustificato l’attacco di venerdì sostenendo che Hezbollah starebbe utilizzando il valico per contrabbandare armamenti. La milizia presidia infatti entrambi i lati del confine libano-siriano, una regione in cui da oltre dieci anni combatte al fianco delle forze del presidente siriano Bashar Assad.
L’offensiva israeliana continua incessante anche nella capitale Beirut, dove nelle scorse ore il fuoco di Tsahal ha bersagliato il sobborgo di Dahiye, roccaforte storica di Hezbollah. L’obiettivo dell’attacco sarebbe stato Hashem Safieddine, ritenuto l’erede designato di Hassan Nasrallah, defunto leader del movimento sciita filo-iraniano.
Sempre nella mattinata di venerdì, a Teheran l’ayatollah Ali Khamenei ha, per la prima volta negli ultimi cinque anni, guidato le preghiere del venerdì con un sermone pubblico di 40 minuti in cui ha elogiato la serie di raid missilistici compiuti martedì dai pasdaran contro Israele. “Sarà fatto di nuovo in futuro, se sarà necessario”, ha detto la Guida suprema in riferimento ai 180 missili balistici lanciati contro il territorio israeliano (in buona parte intercettati dal sistema di difesa Iron Dome, coadiuvato dai mezzi statunitensi e francesi).
Le nazioni musulmane hanno un “nemico comune” e devono “cingere una cintura di difesa” dall’Afghanistan allo Yemen e dall’Iran a Gaza e al Libano, secondo Khamenei, che durante la preghiera ha imbracciato un fucile. La Guida Suprema ha aggiunto che l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, “è stato un atto legittimo, così come l’attacco dell’Iran al Paese questa settimana”. Il raid missilistico è la “punizione minima” per i crimini di Israele, ha affermato Khamenei.
Qualche minuto prima la Guida suprema iraniana aveva presenziato a una cerimonia di commemorazione per il defunto leader di Hezbollah Hassan Nasrallah a cui avevano preso parte la maggior parte degli alti funzionari iraniani, tra cui il presidente Masoud Pezeshkian e gli alti generali della Guardia Rivoluzionaria.
Nelle stesse ore, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha avvertito Israele che in caso di rappresaglia armata dello Stato ebraico, Teheran si vendicherà duramente. “Se l’entità israeliana adotterà qualsiasi passo o misura contro di noi, la nostra ritorsione sarà più forte di quella precedente”, ha dichiarato.
Da Washington, giovedì il presidente Joe Biden ha cercato di minimizzare il rischio di una guerra su scala regionale, pur riconoscendo la gravità della crisi in corso. “Si può ancora evitare una guerra più vasta”, ha dichiarato. Il leader statunitense non ha però escluso la prospettiva di una risposta militare congiunta con Israele contro le installazioni petrolifere iraniane, in caso di un intervento militare diretto di Teheran.
I pasdaran iraniani hanno a loro volta minacciato di colpire le raffinerie e i giacimenti di gas israeliani in caso di attacco alla Repubblica Islamica, come annunciato dalle stesse Guardie della rivoluzione citate dal Teheran Times. Lo scambio di minacce ha avuto immediate ripercussioni sui mercati petroliferi, con il prezzo del greggio che è schizzato verso l’alto, alimentando il timore di nuove tensioni economiche.
Il Dipartimento di Stato americano ha intanto dichiarato che circa 350 cittadini americani, titolari di green card e familiari hanno lasciato il Libano con voli a contratto organizzati dagli Stati Uniti questa settimana.

Dall’inizio delle ostilità, oltre 1,2 milioni di civili libanesi sono stati costretti a fuggire dalle proprie case, e il bilancio delle vittime ha superato le 2.000 persone, secondo fonti locali. Le ultime due settimane sono state particolarmente tragiche per il Paese dei cedri, con bombardamenti quotidiani che hanno devastato interi quartieri, nonostante gli inevasi appelli al cessate il fuoco da parte della comunità internazionale.
Parallelamente, la violenza si intensifica anche in Cisgiordania, dove giovedì sera almeno 18 persone hanno perso la vita in un bombardamento israeliano sul campo profughi di Tulkarem. Secondo il ministero della Salute palestinese, tra le vittime ci sarebbero diversi civili, tra cui bambini. Anche in questo caso Tel Aviv ha giustificato l’attacco affermando di aver colpito un alto comandante di Hamas. Le immagini provenienti dalla zona mostrano uno squarcio di devastazione diffusa: edifici ridotti in macerie, fumo che si alza dai detriti e famiglie disperate che scavano con le mani alla ricerca di superstiti.
L’ONU ha paragonato la devastazione del campo profughi di Tulkarem ai peggiori scenari della Seconda Intifada, combattutasi tra il 2000 e il 2005 con migliaia di vittime. Secondo i funzionari delle Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023 nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi oltre 695 palestinesi. Decisamente più alto il bollettino a Gaza, dove a morire sono state più di 41.000 persone, in maggioranza donne e bambini, secondo i funzionari sanitari locali. Quasi 2.000 persone sono state uccise in Libano nello stesso periodo, la maggior parte delle quali dal 23 settembre, secondo il Ministero della Salute libanese.
Mentre la guerra divampa su più fronti, i negoziati internazionali stentano a prendere forma. La relatrice speciale dell’ONU sui diritti umani nei territori palestinesi, Francesca Albanese, ha lanciato giovedì un ennesimo grido d’allarme: “Siamo di fronte a una crisi di proporzioni inedite, e nessun palestinese è al sicuro sotto la morsa delle forze israeliane”. Ma intanto le bombe che continuano a cadere, e le prospettive di pace appaiono sempre più lontane.