È giunto il momento di legalizzare la marijuana in tutti gli Stati dell’Unione. La promessa di Kamala Harris mira all’elettorato dei giovani e dei neri – i più colpiti dai cosiddetti reati di “piccolo spaccio”. È una novità importante – è la prima volta che parla ufficialmente del tema da quando è la candidata democratica alla Casa Bianca, e nel suo programma non ce ne è traccia.
È curioso però come sia cambiata la posizione di Harris sul tema della droga “leggera”. In California da Attorney General, ministra della Giustizia, aveva perseguito rigorosamente i reati legati al traffico di tutte le droghe, marijauana inclusa; non solo, si era detta contraria alla legalizzazione della cannabis e alla Proposition 19, il referendum del 2010 che nello Stato voleva regolamentare l’accesso, e che non passò (passò invece quello del 2016, e dal 2018 in California vendita e consumo sono legali a scopi ricreativi).
Da senatrice della California a Washington, Harris invece aveva cofirmato una legge per mettere fine al proibizionismo a livello federale. Da candidata presidente nel 2019, prima di ritirarsi dalla gara aveva nel programma la promessa di cancellare i reati non violenti legati alla marijuana (dunque spaccio e consumo), un impegno che l’amministrazione Biden ha poi fatto proprio.
“Mi sembra che sia giunto il momento di capire che dobbiamo legalizzare e smettere di criminalizzare questo comportamento” ha detto Harris nel corso di una lunga intervista al podcast sportivo e culturale “All the Smoke”. “È mia recisa opinione che nessuno dovrebbe andare in carcere per aver fumato cannabis. E sappiamo storicamente cosa ha voluto dire e chi è finito in prigione”. Nel corso della “guerra alla droga”, nel 2013 ci furono oltre un milione e mezzo di arresti per droga, di cui l’80% solo per il possesso. Ma chi è finito in galera? Secondo le statistiche, nelle carceri Usa il 37% dei detenuti sono neri (ma i neri sono il 13% della popolazione). E quasi l’80% dei detenuti per reati legati alla droga sono neri o ispanici.
Tutto il mondo è paese, del resto: il 30% dei detenuti nelle carceri italiane, cronicamente sovraffollate, è dentro per reati collegati al consumo o al “piccolo spaccio” di droghe di varia natura, e in larga parte sono giovani stranieri, i più facilmente reclutati dalla criminalità che si arricchisce sul traffico di droga. Se nel traffico rientrano anche sostanze psicoattive relativamente leggere, il mercato nero ne approfitta.

Sostenere la legalizzazione della marijuana “non è una novità per me” ha aggiunto Harris, “la penso così da molto tempo”. Da donna di origine nera, la vicepresidente si presenta oggi più decisa sul tema di molti democratici. In questo 2024 l’amministrazione Bush ha avviato il processo formale per passare la marijuana da categoria 1 a categoria 3 (droghe leggere), ma non ha parlato di legalizzazione. Anche il candidato vicepresidente Tim Walz ha recentemente detto che è un tema su cui dovrebbero decidere i singoli Stati. Mentre il candidato repubblicano Donald Trump recentemente ha detto che sostiene una iniziativa per la legalizzazione dell’uso ricreativo in Florida, il suo Stato (la campagna Harris ha seccamente definito la dichiarazione “uno specchietto per le allodole”).
C’è però chi si preoccupa non delle conseguenze della cannabis sugli umani, ma di quelle sul clima e sulla produzione alimentare degli Usa. Coltivare marijuana richiede il doppio di acqua che coltivare il mais, la soia e il grano. Oltre il 60% della marijuana coltivata negli Stati Uniti proviene proprio dalla California, stato fecondo che produce anche il 75% della frutta secca e oltre il 33% delle verdure. Insomma la domanda crescente di cannabis dopo la legalizzazione potrebbe andare a discapito della produzione di vegetali commestibili per le tavole americani, potrebbe aggravare la siccità che già tormenta lo stato, e danneggiare gli ecosistemi acquatici.
È alta anche la produzione di emissioni di anidride carbonica e di composti organici collegati all’aumento della contaminazione da ozono a livello del suolo. La coltivazione richiede poi l’uso di pesticidi e fertilizzanti ricchi di ammoniaca per soddisfare l’alta richiesta di azoto di questa pianta; ma l’ammoniaca si unisce agli ossidi di azoto, acidifica il suolo, fa diminuire l’ossigeno e danneggia la vita acquatica. Come tutti sanno da innumerevoli film, le piantine di marijuana hanno bisogno di tanta luce e quindi di grande consumo di energia elettrica se la coltivazione avviene al chiuso.
A parte il consumo a scopo ricreativo, 38 Stati dell’Unione oggi hanno già legalizzato la cannabis per scopo terapeutico, ma non hanno emanato norme per regolare il tipo di energia usata per le coltivazioni. Si potrebbe però sostenere che se la cannabis fosse legalizzata ovunque a scopo ricreativo, e le coltivazioni fossero legali, sarebbe anche più semplice gestirle in modo sostenibile per l’ambiente e l’agricoltura.