Buon inizio di settimana per Kamala Harris. Il New York Times le ha dato l’appoggio politico per le prossime elezioni presidenziali, affermando che la scelta è una decisione “patriottica”, indipendentemente da “qualsiasi disaccordo politico che gli elettori possano avere con lei”.
Oltre al forte sostegno alla candidata democratica l’editoriale è stata una durissima condanna all’ex presidente affermando, sin dalla prima riga, che è “difficile immaginare un candidato più indegno di Donald Trump nel servire come presidente degli Stati Uniti”. L’editoriale continua poi denunciando che l’ex presidente è “moralmente inadatto a una carica che chiede al suo occupante di mettere il bene del Paese al di sopra di quello personale”, e che Trump non ha la saggezza, onestà, empatia, coraggio, moderazione, umiltà, disciplina che la carica di presidente richiede.
“Il maggior pericolo per la democrazia americana – scrive il giornale – è stato quello che Trump ha trasformato il Partito Repubblicano, un’istituzione che un tempo si vantava dei suoi principi e onorava i suoi obblighi verso la legge e la Costituzione, in uno strumento personale per riconquistare il potere. I repubblicani che sostengono Kamala Harris riconoscono che questa elezione riguarda qualcosa di più fondamentale che non un ristretto interesse di parte. Riguarda principi che vanno oltre il partito e la presidenza non può essere affidata ad un uomo che smantellerà le istituzioni che hanno reso forte il nostro paese”.
Un appoggio politico da parte di uno dei giornali più prestigiosi d’America alla candidata democratica che, però, è meno forte della condanna che il giornale riserva all’ex presidente specie dopo i ripetuti insulti di Trump che, nel fine settimana, in due comizi, ha lanciato contro Kamala Harris.
Ma gli sberleffi e il populismo qualunquista sono la formula usata da Trump nei suoi comizi che, non potendo elaborare proposte concrete, che inevitabilmente comporterebbero la mediazione con l’opposizione, elenca solo le disfunzioni del Paese senza proporre soluzioni. Una tattica che secondo molti analisti potrebbe costargli l’elezione in una corsa così serrata come quella attuale.
Nelle interviste dopo i suoi sproloqui elettorali più di una dozzina di strateghi e operatori repubblicani hanno espresso serie preoccupazioni per il risultato delle elezioni.
Trump, dopo anni di tentativi, non è riuscito ad imitare il modello di organizzazione di base lanciato da Barack Obama, e per ovviare a questo, alla ricerca di nuovi consensi, l’ex presidente ha istigato i suoi elettori al culto della sua personalità, e per rivaleggiare con i suoi avversari ha lanciato la strategia basata sulle offese e sulla futilità delle loro iniziative. A differenza di lui, Harris continua a investire tempo e denaro nella politica del “porta a porta”. E ora molti strateghi repubblicani temono che gli sforzi dell’ex presidente siano insufficienti.
“L’attuale campagna elettorale dei candidati del GOP è basata sul sostegno che loro hanno ricevuto da Trump. Non si parla dei problemi locali”, afferma Stephen Lawson, lobbista repubblicano, stretto consigliere del governatore della Georgia Brian Kemp. “Penso che sia un approccio sbagliato perché l’elettorato non vuole demagogia, ma proposte concrete. Soprattutto se si cerca di conquistare il voto degli elettori indipendenti”.
Domenica, in un comizio a Eire, Pennsylvania, Trump ha ripetuto gli insulti sulla capacità mentale di Kamala Harris, nonostante i suoi alleati del GOP lo abbiano esortato ad evitare le offese personali dopo che la sera prima, in un altro comizio tenuto a Prairie du Chien, in Wisconsin, aveva detto, “Kamala è mentalmente compromessa”. E, mentre si lanciava a incolpare Harris per l’immigrazione illegale, aveva detto che “solo una persona mentalmente disabile avrebbe potuto permettere questo”. Nella foga negli insulti, è stato distratto da una mosca che svolazzava sul podio. “Oh, ecco una mosca”, ha detto. “Mi chiedo da dove sia venuta la mosca?” Dal pubblico si è alzata una voce che ha gridato “Kamala”. Trump ha continuato: “Due anni fa, non avrei avuto una mosca qui. Stai cambiando rapidamente. Non possiamo più sopportarlo”.
Non si è capito a chi o a cosa l’ex presidente si riferisse.
Domenica mattina nei programmi televisivi di approfondimento politico alcuni repubblicani hanno detto che l’ex presidente dovrebbe parlare delle sue proposte. Anche il senatore repubblicano Lindsey Graham, uno dei principali alleati di Trump, ha detto a Jake Tapper della CNN nel programma “State of the Union” che non deve personalizzare la sua campagna elettorale aggiungendo poi “anche se Kamala Harris è una pazza liberal”.
Il capogruppo della maggioranza repubblicana alla Camera, Tom Emmer, che ha interpretato il ruolo di Tim Walz nel preparare JD Vance per il dibattito di domani sera, ha detto a “This Week” della ABC News che ” Trump dovrebbe concentrarsi sui problemi e sulle soluzioni non sugli insulti”.
Larry Hogan, l’ex governatore repubblicano del Maryland, uno dei critici di Trump all’interno del partito tanto che ha respinto l’appoggio dell’ex presidente nella sua corsa al Senato, ospite di “Face the Nation” della CBS News ha detto che gli insulti dell’ex presidente sono “offese non solo al vicepresidente ma anche alle persone che hanno effettivamente disabilità mentali”, aggiungendo che “la retorica divisiva di Trump è qualcosa di cui l’America può fare a meno”.
Elezioni sempre più incerte, quindi, e a cinque settimane dal voto, i sondaggi mostrano come la corsa sia imprevedibile. Nel complesso, Kamala Harris è in vantaggio su Donald Trump di tre punti percentuali nella media dei sondaggi nazionali del New York Times, ma quello che conta è il risultato elettorale negli stati chiave “altalenanti”. Nessun candidato ha un vantaggio significativo negli stati che possonbo fare la differenza nell’arrivare ai 270 voti elettorali necessari per vincere. Da capire ora se gli insulti porteranno voti, o li faranno perdere.