I cronisti hanno brancolato nel buio fino all’ultimo. A poche ore dal ritorno in patria di Volodymyr Zelensky dopo la tappa newyorkese per l’Assemblea generale ONU, nessuno sapeva se, dopo i faccia a faccia con Joe Biden e Kamala Harris, il presidente ucraino avrebbe incontrato anche Donald Trump. All’ultimo, in maniera quasi inaspettata, la conferma del magnate: l’incontro si fa, nella mattinata di venerdì, alla Trump Tower di Midtown Manhattan.
Ma l’assenso non ha portato distensione. Trump, con algida cordialità, ha messo in chiaro il suo pensiero fin dalle prime battute: “Un accordo cattivo sarebbe stato meglio di questa situazione.” Parole che fanno trapelare la sua ormai notoria antipatia per l’incessante e incessato sostegno militare americano a Kyiv. Zelensky, al contrario, ha calibrato con astuzia le parole: “La guerra in Ucraina deve finire, è vero. Ma Putin non può vincere.”
I due hanno dialogato a un piano superiore, sedendosi uno di fronte all’altro a un lungo e largo tavolo di marmo nero. A detta del leader ucraino, l’opportunità dell’incontro con l’ex (e possibile futuro) presidente deriva dalla necessità di assicurarsi il sostegno di Washington a prescindere da chi emergerà trionfatore dalle urne a novembre – nonostante i progetti del tycoon 78enne siano drammaticamente antitetici rispetto a quelli del duo Biden-Harris. Zelensky ha definito “molto importante” tenere Washington al corrente sulle prossime mosse in Ucraina. Oltre a poter illustrare il suo “piano di vittoria” per garantire quella che lui definisce una “pace giusta”.
Ma l’impressione è che una futura amministrazione Trump basti la pace, senza ulteriori qualificazioni etiche. “Lavoreremo molto con entrambe le parti per cercare di risolvere la questione”, ha dichiarato Trump, aggiungendo di avere “un ottimo rapporto” tanto con Zelensky quanto con il leader russo Vladimir Putin.
Di tenore opposto era stata invece la reazione di qualche ora prima della dem Kamala Harris. Per una sua futura amministrazione, come per quella attuale di cui è vicepresidente, l’integrità territoriale dell’Ucraina non è negoziabile e ogni tentativo di proporre una soluzione che lasci terreno alla Russia è una “proposta di resa.” In poche parole, l’America non abbandonerà l’alleato al truculento destino di finire inghiottita da Mosca.
Oltre all’ostacolo-Trump, l’intensa opera di lobbying che Zelensky sta portando avanti negli Stati Uniti per ottenere l’agognata luce verde all’impiego di missili a lunga gittata per colpire in profondità nel territorio russo sembra aver però trovato un formidabile contraltare anche nella risposta del Cremlino.
Dopo aver a lungo minacciato l’Occidente dall’entrare in una “guerra” di fatto contro la Russia, Putin è passato dalle parole ai fatti. O meglio, alla teoria della dottrina nucleare di Mosca, che ora prevede un approccio più flessibile – ed esponenzialmente più pericoloso – nell’impiego delle armi nucleari, prevedendo che esse possano essere impiegate non solo in caso di attacco convenzionale di una potenza nucleare, ma anche come strumento di coercizione contro potenze non nucleari (come è l’Ucraina) appoggiate militarmente da Stati nucleari in caso di attacchi diretti al territorio della Federazione.
Il fantasma della Russia continua insomma ad aleggiare anche a migliaia di chilometri di distanza. Vladimir Putin, che ha assistito all’incontro da lontano, sa di avere diverse mosse di vantaggio. E ogni passo falso da parte degli Stati Uniti potrebbe dare a Mosca la possibilità dello scacco matto.