A Donald Trump la decisione del giudice Arthur Engoron costa 112 mila dollari al giorno, quasi 3 milioni e mezzo al mese. A febbraio scorso, il magistrato lo ha condannato al pagamento di 454,2 milioni di dollari per aver gonfiato il suo patrimonio in modo da ingannare creditori e assicuratori e convincerli a concedergli condizioni migliori sui prestiti e sulle assicurazioni.
L’ex presidente ha fatto appello e uno dei requisiti per la richiesta di giudizio di secondo grado è dover dare in garanzia, in contanti, l’ammontare della sanzione che gli è stata comminata. Dato che Trump non aveva il danaro liquido, ha dovuto chiede a una società assicuratrice di garantirgli 175 milioni di dollari per la cauzione ed è per questo che paga questa enorme cifra. Oggi i suoi avvocati sono comparsi davanti alla Appellate Court di New York, il secondo grado di giudizio nel sistema legale dello Stato, per cercare di ridurre l’ammontare della penalizzazione.
I cinque giudici della Appellate Court, la Corte d’Appello statale di medio livello, sembravano preoccupati per un possibile eccesso di potere da parte dell’Attorney General dello Stato di New York, Letitia James, ma nello stesso tempo non sembravano disposti ad accettare la tesi degli avvocati difensori di Trump, che sostenevano che non c’erano parti lese e che nessuno aveva perso soldi. “Una truffa è una truffa – ha detto il giudice David Friedman, – anche se il truffato non se ne accorge o fa finta di non accorgersene. Poi i consumatori pagano i danni”.

I giudici erano perplessi dal fatto che l’Attorney General, per citare in giudizio Trump, avesse usato una legge a protezione dei consumatori. Judith Vale, vice Attorney General dello Stato, ha affermato che lo statuto, noto come Legge esecutiva 63(12), è fatto proprio per fermare frodi e illegalità ed era quindi appropriato nel caso di Trump.
“Quando in commercio una azione truffaldina viene nascosta e il prodotto poi viene immesso sul mercato, a pagarne sono i consumatori – ha dichiarato Vale. – Una truffa che apparentemente non danneggia le controparti, ma che nuoce il mercato nel suo complesso”.
Il caso è nato dalla leadership di Trump nella società immobiliare di famiglia, la Trump Organization, prima di diventare presidente nel 2017. Ad aprile, il tycoon ha evitato possibili sequestri di beni versando una cauzione di 175 milioni di dollari per presentare l’appello.
L’avvocato di Trump, John Sauer, ha detto ai giudici che la testimonianza al processo ha dimostrato che qualsiasi discrepanza nel patrimonio netto dell’ex presidente era irrilevante per i suoi creditori.
Sauer ha più volte ripetuto che nessuno dei creditori e dei partner commerciali di Trump è stato danneggiato dalle “discrepanze” dei valori reali degli immobili nei bilanci finanziari. “Non ci sono state vittime, nessuna denuncia”.
I magistrati si sono riservati la decisione.

Un anno fa, il giudice Engoron aveva ritenuto Trump responsabile della frode per aver mentito sul valore reale dei suoi beni e sul suo patrimonio totale per oltre un decennio. Bugie che, oltre a creargli la fama di super miliardario lanciato prima nel mondo dello spettacolo e poi alla Casa Bianca, gli hanno dato vantaggi economici per la richiesta dei prestiti alle istituzioni finanziarie e alle assicurazioni. In aula, è stato dimostrato come il valore dei suoi immobili fosse stato gonfiato, dichiarando il falso in una serie di documenti. Nel corso del processo sono state mostrate le false dichiarazioni di Trump secondo cui il suo attico di Manhattan era di poco meno di 30.000 metri quadrati, quasi tre volte la sua dimensione reale.
La sentenza di Engoron rappresenta una minaccia per l’impero commerciale che Trump ha costruito nel corso di decenni, che comprende hotel, edifici per uffici e campi da golf in tutto il mondo. Con gli interessi che continuano ad accumularsi, l’ex presidente ora deve 478,3 milioni di dollari.
Il caso è uno dei numerosi problemi legali che Trump sta affrontando da quando ha lasciato la Casa Bianca nel 2021, anche perché quando era presidente non poteva essere citato in giudizio. Deve quasi 90 milioni di dollari in sanzioni civili federali per aver diffamato la scrittrice e giornalista E Jean Carroll che lo ha accusato di abusi sessuali, poi è stato a maggio è stato riconosciuto colpevole per accuse penali derivanti dal pagamento in nero a una pornostar che voleva rivelare prima delle elezioni del 2016 di aver avuto una relazione con lui. Ed infine i procedimenti in mano al procuratore speciale Jack Smith sia per il tentativo insurrezionale del 6 gennaio che per i documenti top secret portati a Mar A Lago. Per quest’ultimo procedimento il giudice Aileen Cannon ha annullato l’incriminazione perché secondo lei Jack Smith non aveva l’autorità di investigare Trump. Smith ha presentato appello a questa decisione.
Trump ha negato ogni illecito e ha affermato che i casi sono stati presentati per interferire con la sua campagna elettorale.