Il bastone e la carota. Da un lato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu fa sapere che è pronto ad avviare colloqui per una tregua in Libano – per intermediari, con gli Stati Uniti, poiché non parla direttamente con Hezbollah. Dall’altro, dopo tre giorni di bombardamenti e oltre 600 morti libanesi, l’esercito israeliano diffonde un video in cui il capo di Stato maggiore della Difesa, Herzi Halevi, visitando alcune brigate al confine con il Libano annuncia un probabile ingresso via terra nel cosiddetti paese dei cedri. “Oggi Hezbollah ha ampliato il suo raggio di fuoco. Più tardi riceverà una risposta molto forte”, ha affermato Halevi riferendosi al fatto che il gruppo sciita ha lanciato un missile verso il centro di Israele questa mattina, verso Tel Aviv, per la prima volta non intercettato dai sistemi di difesa israeliani. “I vostri stivali entreranno nei villaggi che Hezbollah ha trasformato in una vasta postazione militare, incontrerete i miliziani e gli dimostrerete che cosa significa affrontare un esercito professionale, altamente qualificata e con esperienza di battaglia. Li distruggerete”, ha detto Halevi.
Lo stesso Netanyahu del resto in serata dichiara dal suo ufficio, “siamo decisi a far sì che gli abitanti del Nord tornino a casa loro in tutta sicurezza. Colpiamo Hezbollah in modo inimmaginabile, con la forza e con l’astuzia. Vi prometto questo: non ci fermeremo finché gli abitanti del Nord non saranno tornati alle loro case”. Il riferimento è agli israeliani che sono sfollati per sfuggire ai missili di Hezbollah dal sud del Libano. Il 28 luglio, 12 ragazzini sono morti in un campo da calcio a Majdal Shams, insediamento druso nel Golan settentrionale, da un razzo lanciato dal Libano.
Bisogna arrendersi all’evidenza: la guerra ormai è diventata regionale. In questa caotica situazione, si avvicina l’anniversario del 7 ottobre – un anno dall’efferata incursione di Hamas in Israele che ha ucciso 1200 israeliani e fatto prigionieri centinaia di ostaggi. Lo Stato ebraico continua a bombardare la Striscia di Gaza alla caccia dei leader di Hamas (i morti palestinesi in un anno sono oltre 40mila). “Una guerra su vasta scala in Medio Oriente è possibile”, ha ammesso oggi Joe Biden al talk show The View. E se il Papa prega per la pace (“Sono addolorato dalle notizie che giungono dal Libano… Auspico che la comunità internazionale faccia ogni sforzo per fermare questa terribile escalation; è inaccettabile. Esprimo la mia vicinanza al popolo libanese che già troppo ha sofferto nel recente passato” ha detto Bergoglio all’udienza del mercoledì in piazza San Pietro) la diplomazia, Stati Uniti in testa, appare impotente quanto ambigua.

A Beirut intanto il ministro della Salute Rifass Abiad ha ricevuto un aereo carico di aiuti dalla Turchia. I raid israeliani fra lunedì e martedì, ufficialmente contro le postazioni Hezbollah, avevano già ucciso almeno 558 libanesi, martedì il giorno più sanguinoso nel paese dalla fine della guerra civile (1975-1990. Sia l’ambasciatore turco in Libano presente in aeroporto, sia il ministro libanese hanno pronunciato parole durissime contro Israele. Per l’ambasciatore, Ali Baris Ulusoy: “è molto inquietante questa aggressione israeliana non solo contro Gaza, contro la Palestina, ma contro il Libano e il resto della regione nel caos totale”.
Nella capitale Beirut la gente è traumatizzata, per la minaccia della guerra e per la situazione economica del paese, teme per la propria vita e non solo.
Abir Khater gestisce un negozio. “Certo che penso di andarmene, certo. In passato ho avuto molte opportunità e non l’ho fatto, ma ora se ci riesco voglio andarmene, almeno finché le cose non si calmano”.
Nina Rufayel è un’insegnante: “Non temo solo una grande guerra ma la totale scomparsa del Libano. Ho paura del domani. Se scoppia la guerra colpirà tutti senza distinzioni, ma poi che succederà? Chi ricostruirà, chi fornirà il cibo, chi fornirà l’istruzione?”
A Tiro, sul mare, parlano solo gli uomini al mercato, in maglietta mentre le ragazze col capo coperto li accompagnano a fare la spesa. Parlano, e dicono tutti la stessa cosa: “non cederemo al nemico israeliano”, “i libanesi non si arrenderanno mai”.