Nelle prime ore di domenica Hezbollah ha lanciato una raffica di missili contro la base aerea di Ramat David, circa 20 km a sud-est di Haifa, il punto più profondo in territorio israeliano mai raggiunto dall’inizio degli scontri. E la risposta israeliana non si è fatta attendere: aerei da combattimento hanno bombardato a loro volta il sud del Libano, colpendo circa 290 obiettivi e distruggendo postazioni di lancio della milizia sciita filo-iraniana.
Un’escalation sempre più accelerata, aggravata dai due attentati presumibilmente orditi dall’intelligence israeliana ai danni di cercapersone e walkie-talkie impiegati da Hezbollah, la cui esplosione simultanea ha provocato oltre 20 morti e migliaia di feriti. Il crescendo di attacchi ha costretto Israele a chiudere alcune scuole e a trasferire le operazioni degli ospedali in strutture protette, con la popolazione delle regioni settentrionali che ha passato la notte nei rifugi, all’ombra della minaccia costante dei razzi.
Mentre le sirene risuonavano senza sosta in tutto il nord di Israele, e il sistema di difesa Iron Dome intercettava missili in arrivo da più fronti, ai civili è stato chiesto di prepararsi al peggio. Le notti sono ormai sempre più spesso scandite dal rumore delle esplosioni e dai bagliori che illuminano il cielo, con case colpite vicino a Haifa e feriti soccorsi dai team di emergenza. Non ci sono state vittime, almeno negli ultimi attacchi. E mentre l’ira di Hezbollah si abbatte sui centri strategici israeliani, dall’Iraq giungono minacce di una nuova fase di attacchi coordinati. Missili da crociera e droni esplosivi lanciati da gruppi filo-iraniani hanno aperto un altro fronte.
Il Libano, intanto, resta silente. Nessuna direttiva ufficiale. Nessun piano di evacuazione. Solo il rimbombo delle esplosioni e la devastazione che cresce di giorno in giorno. E mentre i vertici israeliani proseguono nella loro campagna, le strade del sud del Libano si svuotano, con la popolazione locale che fugge dall’inferno. Gli appelli internazionali per una tregua, come quello della coordinatrice ONU Jeanine Hennis-Plasscharet, sembrano cadere nel vuoto: “La regione è sull’orlo di una catastrofe imminente”, ha scritto.
L’ultimo attacco aereo israeliano, avvenuto venerdì scorso, ha inferto un duro colpo a Hezbollah, distruggendo un edificio in un affollato quartiere di Beirut e uccidendo 45 persone, tra cui 16 membri del gruppo armato. Tra loro, figure chiave come Ibrahim Aqil e Ahmed Wahbi. Un attacco devastante, che ha raso al suolo la sede di una scuola materna e ha seminato il panico tra i civili. Hezbollah, però, ha risposto con forza, affermando di essere pronto a combattere fino a quando Israele non accetterà un cessate il fuoco a Gaza. Le milizie continuano a colpire e, nel frattempo, la popolazione libanese conta i morti: solo nell’ultima settimana, il bilancio delle vittime ha superato le 84 persone, portando il totale a più di 750 dall’inizio delle ostilità.
La situazione al confine tra Libano e Israele è ormai fuori controllo. Ogni nuova esplosione sembra alimentare l’incubo di una guerra totale, mentre decine di migliaia di persone su entrambi i lati della frontiera hanno abbandonato le loro case. “Il nostro obiettivo è semplice”, ha dichiarato il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant, “riportare i nostri cittadini al sicuro”. Il futuro della regione resta appeso a un filo. Così come il destino di chi quel conflitto si occupa di raccontarlo sul posto: alcuni soldati israeliani hanno fatto irruzione armata nell’ufficio di Al Jazeera a Ramallah, in Cisgiordania, ordinando al network qatariota di chiudere le operazioni per (almeno) 45 giorn.