Dopo anni di stallo, mercoledì 31 luglio, il processo a tre terroristi dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 è arrivato a un punto di svolta. I tre uomini, fra cui anche la presunta mente Khalid Shaikh Mohammad, detenuti nella prigione di massima sicurezza di Guantánamo, hanno patteggiato un accordo per cui, dichiarandosi colpevoli, potranno evitare la pena di morte. La notizia sarebbe trapelata da una lettera inviata dai pubblici ministeri ai familiari delle vittime e confermata poi dal Dipartimento della Difesa.
“L’Autorità di convocazione delle Commissioni militari ha stipulato accordi preliminari con Khalid Shaikh Mohammad, Walid Muhammad Salih Mubarak Bin ‘Attash e Mustafa Ahmed Adam al Hawsawi, tre dei co-accusati nel caso dell’11 settembre”, ha confermato a ABC News un portavoce dell’Ufficio delle Commissioni militari (OMC).
“In cambio dell’eliminazione della pena di morte come possibile punizione, questi tre accusati hanno accettato di dichiararsi colpevoli di tutti i reati imputati, compreso l’omicidio delle 2.976 persone elencate nel capo d’accusa”, si legge nella lettera, firmata dal contrammiraglio Aaron C. Rugh, procuratore capo delle commissioni militari e da tre avvocati del suo team, e riportato dal New York Times.
Mohammad, ingegnere di formazione statunitense che ha dichiarato di essere jihadista, è stata accusato di aver pianificato di dirottare gli aerei e farli schiantare contro le due Torri. Insieme a Hawsawi sono stati catturati in Pakistan nel 2003.
Rimangono esclusi dall’accordo altri due terroristi, detenuti sempre a Guantánamo:
Ramzi bin al-Shibh, accusato di aver aiutato a organizzare una cellula di dirottatori ad Amburgo, in Germania, e Ammar al-Baluchi, che dovrebbe aver gestito le finanze e i due voli mentre lavorava dal Golfo Persico.
Il patteggiamento era già previsto per settembre 2022, me il presidente Joe Biden aveva rifiutato le condizioni avanzate dai cinque imputati. Secondo il New York Times, fra queste c’erano la possibilità di evitare l’isolamento e quella di ricevere cure medicha a ferite conseguenti ai metodi di interrogatorio della CIA, da quanto sostengono i detenuti. Uno dei motivi per cui il processo era in stallo dal 2003: le torture messe in atto dagli agenti avrebbero manomesso la verità. Per questa volta, invece, l’amministrazione Biden ha preso in considerazione le richieste per oltre un anno, poi si è rifiutata di intervenire. E non sono stati rivelati i termini e la condizioni che hanno condotto all’accordo.