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Raid israeliani contro obiettivi Houthi in Yemen. Martedì Netanyahu a Washington

Prima incursione di Tel Aviv nel Paese arabo mentre cresce il bilancio delle vittime a Gaza e in Cisgiordania

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani

Houthi police car driving past fire and smoke rising following Israeli airstrikes in the port city of Hodeidah, Yemen, 20 July 2024 ANSA/EPA/HOUTHIS MEDIA CENTER

Time: 3 mins read

Oltre a Gaza, al Libano e alla Siria, si allarga anche allo Yemen l’offensiva bellica israeliana. L’esercito di Tel Aviv ha lanciato sabato una serie di attacchi aerei su obiettivi dei ribelli Houthi nella città portuale di Hodeidah, una roccaforte del gruppo filo-iraniano nello Yemen occidentale. Si tratta del primo raid israeliano nel Paese dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, scoppiata il 7 ottobre, destinato ad accelerare l’escalation tra lo Stato ebraico e le forze alleate dell’Iran che sostengono i miliziani palestinesi.

Gli israeliani sostengono invece di aver bersagliato numerosi “obiettivi militari” a Hodeidah, un’importante porta d’ingresso per armi e munizioni fornite dai pasdaran. Una risposta in grande stile all’attacco con droni effettuato dai ribelli Houthi il giorno venerdì, che ha causato un morto e dieci feriti a Tel Aviv, vicino all’ambasciata statunitense.

“Gli Houthi ci hanno attaccato più di 200 volte. La prima volta che hanno colpito un cittadino israeliano, abbiamo risposto. E lo faremo in qualsiasi luogo dove sarà necessario”, ha dichiarato il ministro della Difesa Yoav Gallant.

Le autorità yemenite sostengono che i bombardamenti israeliani abbiano ferito circa 80 persone a Hodeidah, molte delle quali con gravi ustioni. Hanno poi accusato Israele di aver colpito strutture di stoccaggio di carburante e la centrale elettrica della città, provocando morti e feriti e causando incendi e interruzioni di corrente diffuse. Al-Masirah TV, canale controllato dai ribelli, ha riferito di gravi danni alle strutture di stoccaggio di petrolio e diesel al porto e alla compagnia elettrica locale, con incendi e interruzioni di corrente.

Mohammed Abdulsalam, portavoce del gruppo militante, ha descritto gli attacchi come una “sfacciata aggressione israeliana” finalizzata ad aumentare la sofferenza del popolo yemenita e fare pressione sui combattenti affinché smettano di supportare Gaza. Abdulsalam ha avvertito che le azioni israeliane non faranno che rafforzare la determinazione yemenita a fianco di Hamas. Mohamed Ali al-Houthi, del Consiglio Politico Supremo yemenita, ha promesso futuri “colpi di grande impatto” come risposta a Tel Aviv. Gli esperti sono tuttavia scettici sulla capacità degli Houthi di penetrare il sistema anti-missilistico israeliano “Iron Dome” da una lunga distanza.

Nel frattempo, continua a peggiorare la situazione a Gaza. Sabato tre attacchi aerei israeliani hanno colpito i campi profughi di Nuseirat e Bureij, uccidendo almeno 13 persone, tra cui tre bambini e una donna, secondo le autorità locali. L’assedio israeliano della Striscia ha provocato finora oltre 38.900 morti e una grave crisi umanitaria che ha costretto gran parte della popolazione a fuggire dalle proprie case e ha causato un’ampia crisi alimentare.

La violenza dilaga anche in Cisgiordania, dove ieri un 20enne palestinese è stato ucciso dalle forze israeliane durante alcuni scontri a Beit Ummar, dove un gruppo di palestinesi stavano lanciando pietre verso la polizia. Alcuni testimoni affermano tuttavia che la vittima, Ibrahim Zaqeq, non fosse coinvolta direttamente negli scontri.

Tutto pronto invece per la visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti, dove incontrerà il presidente Joe Biden e terrà uno storico discorso al Congresso di Washington. Il bilaterale, inizialmente programmato per lunedì, è stato posticipato al giorno successivo a causa della positività al COVID-19 di Biden. I due leader discuteranno principalmente della proposta USA di cessate il fuoco a Gaza e del rilascio degli ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi.

Da mesi le relazioni tra Netanyahu e Biden sono tesissime, specialmente dopo le accuse dell’israeliano all’amministrazione statunitense di aver ritardato una consegna di armi. A complicare il quadro generale – e le relazioni con la Casa Bianca – c’è anche recente votazione della Knesset che rifiuta la creazione di uno Stato palestinese. La soluzione dei due Stati è invece il cardine della politica mediorientale dell’amministrazione statunitense.

Quella di mercoledì davanti alle camere unite del Congresso sarà invece l’occasione per Netanyahu per ringraziare  Washington il fermo supporto politico-militare e per chiedere di continuare a sostenere Tel Aviv nella sua lotta contro i terroristi di Hamas.

In patria, tuttavia, alcuni manifestanti e familiari degli ostaggi hanno criticato la missione di “Bibi”, che a loro opinione sarebbe dovuto restare nel Paese fino a quando non fosse stato raggiunto un accordo sul rilascio degli ostaggi.

Venerdì intanto la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), legata all’ONU, ha dichiarato in un’opinione non giuridicamente vincolante che la presenza israeliana nei territori palestinesi occupati è illegale e dovrebbe terminare “il più rapidamente possibile”.

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