È una storia che ha dell’incredibile quella di Sandra Hemme, condannata all’ergastolo per l’omicidio di una bibliotecaria e liberata dopo 43 anni dietro alle sbarre, un evidente errore riconosciuto infine da vari gradi di giudizio. Ma l’incredibile non è solo l’errore giudiziario: è la lotta che Andrew Bailey, il procuratore generale dello Stato del Missouri (il ministro della Giustizia), ha condotto perché non fosse scarcerata, fino ad essere minacciato da un giudice di oltraggio alla corte.
Hemme aveva vent’anni quando fu condannata per aver ucciso a coltellate la bibliotecaria Patricia Jeschke a Saint Joseph, in Missouri. Non c’erano prove che la collegassero all’assassinio tranne una confessione raccolta dagli investigatori mentre era in ospedale psichiatrico, imbottita di psicofarmaci. Secondo l’associazione Innocence Project che si batte contro gli errori giudiziari, nella storia degli Stati Uniti è la donna che ha scontato ingiustamente la pena più lunga. Hemme era difesa da un docente di giurisprudenza dell’università di Missouri-Kansas City, Sean O’Brian, e da due avvocati dell’Innocence Project, Jane Pucher e Andrew Lee. Ha potuto riabbracciare il padre, gravemente malato, la sorella, la madre e vedere finalmente una nipotina non solo in foto.
Il 14 luglio, il magistrato Ryan Horsman ha dichiarato di avere prove “chiare e convincenti” dell’innocenza di Hemme. Nel processo dell’epoca era stata riportata la sconclusionata confessione a monosillabi della donna, mentre erano stati ignorati solidi indizi che puntavano in direzione di un ex agente, tale Michael Holman (poi incarcerato per un altro reato e morto nel 2015), fra cui un anello appartenuto alla vittima e ritrovato a casa dell’uomo. Furono ignorati altri elementi elaborati dalla Cia ma non fatti pervenire all’ufficio del procuratore.
Oltre alla sentenza di Horsman, anche una corte d’appello (l’8 luglio) e la Corte Suprema del Missouri giovedì 18 luglio avevano sentenziato che la donna doveva essere liberata. Eppure, Hemme è stata rilasciata solo venerdì sera dalla prigione di Chillicothe.
L’Attorney General dello Stato, il repubblicano Andrew Bailey, che punta alla rielezione il 6 agosto, ha cercato infatti di impedire in ogni modo la sua scarcerazione ignorando una sentenza dopo l’altra. Venerdì 19, il giudice Horsman ha detto in aula che se Hemme non fosse tornata in libertà, avrebbe convocato Bailey in tribunale il prossimo martedì. Ha anche biasimato severamente la telefonata con cui Bailey ha imposto al direttore del carcere di tenere chiusi i cancelli.
Come è riuscito Bailey a bloccare la liberazione? Ha fatto leva su altre due sentenze comminate alla donna per violenze commesse negli anni di carcere, una per un assalto con una lametta (nel 1996), violenze per cui era stata complessivamente condannata ad altri 12 anni. Ma gli anni che ha passato ingiustamente in galera già coprono ampiamente quelle pene. Invece secondo Bailey, la donna rappresenta un rischio per se stessa e per gli altri e avrebbe dovuto cominciare da adesso a scontarle.
“Non ho mai visto nulla di simile” commenta Michael Wolff, ex giudice della Corte suprema dello Stato del Sud. “Quando il tribunale si esprime, la sua sentenza deve essere eseguita”. Peter Joy, professore di legge alla Washington University School of Law di St. Louis, parla di “uno shock per la coscienza di qualunque essere umano perbene; dire che dovrebbe scontare da adesso altri 12 anni è come investire una persona con la macchina e poi fare retromarcia per investirla di nuovo”.
Già altre volta in passato Andrew Bailey si era opposto ai tentativi di scagionare altri condannati, anche quando le procure locali citavano prove di innocenza.
“È stato facile mandare in carcere una persona innocente ed è stato molto più difficile di quanto dovrebbe essere farla uscire, fino al punto di ignorare le disposizioni di una corte”, ha commentato l’avvocato della donna, Sean O’Brien.