In teoria doveva essere una lettera “pacificatoria” quella del presidente francese Emmanuel Macron alle forze parlamentari, e invece ha provocato rabbia a sinistra e nessuna soluzione per risolvere lo stallo della formazione del governo. La Francia resta nella palude: il risultato del voto di domenica 7 luglio, secondo turno delle legislative, ha visto, sì, una diga alle urne contro l’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen. Però nessun gruppo ha la maggioranza assoluta e le combinazioni sembrano impossibili.
All’Assemblea Nazionale è arrivata prima l’ampia coalizione di sinistra unita nel Nuovo Fronte Popolare; e all’interno del Fronte il partito più votato è quello della sinistra radicale, La France Insoumise (La Francia Indomita) di Jean-Luc Mélenchon seguito dai socialisti. Seconda, la coalizione Ensemble che fa capo al presidente Macron. Solo terzo l’RN di Le Pen.
Lunedì, Macron ha riconfermato il suo premier Gabriel Attal “fino a nuovo ordine” per gli affari correnti. Sulla carta, la lettera inviata dal presidente mercoledì sera sembra dire l’ovvio. “Nessuno ha vinto” ha scritto invitando “l’insieme delle forze politiche” che “si riconoscono nelle istituzioni repubblicane, nel parlamentarismo, e che hanno un orientamento europeo, a costituire una maggioranza”.
Va sottolineato che i francesi usano “repubblicano” come sinonimo di “democratico”, ovvero appartenente alla tradizione della Quinta Repubblica, fondamento dello Stato moderno dopo il secondo conflitto.
E quindi bisogna decrittarla questa lettera di Macron per capire cosa chiede davvero. Primo, esclude la destra estrema del Rassemblement National, il che era scontato. Secondo, in nessun punto ammette la sconfitta della sua coalizione Ensemble, che ha perso la metà dei suoi parlamentari: per Macron hanno perso tutti. Terzo e più importante, l’inquilino dell’Eliseo lascia intendere che al governo secondo lui non deve mettere piede La France Insoumise di Mélenchon, che da sempre ha definito “fuori dall’arco repubblicano” e che da anni gli fa una guerra serrata, spesso con toni populisti (ma apprezzati da quei francesi che non arrivano alla fine del mese). Quarto, il presidente – cui spetta la nomina del premier – si chiama fuori e rimanda la palla in Parlamento.
Una coalizione di governo, per Macron, insomma dovrebbe riunire ecologisti, socialisti e Ensemble e magari una parte dei Repubblicani, gli antichi conservatori neogollisti che furono di Jacques Chirac. Dopodiché il presidente si è diretto a Washington per il vertice Nato, e dall’altra sponda dell’oceano non lascia trapelare più nulla sulla situazione in patria.
Dove la pressione è tutta sul Nuovo Fronte Popolare, inquieto. Il segretario socialista Olivier Faure accusa il capo dello Stato di “non rispettare il voto dei francesi”. Mélenchon, con l’abituale tono roboante, denuncia “imbrogli” e “il ritorno del veto reale”.
Mentre c’è chi definisce Macron “un Napoleone di plastica” (il sito Politico.Eu in un articolo di Jamil Anderlini), il Nuovo Fronte Popolare continua le trattative al suo interno per tirar fuori dal cappello il nome di un possibile premier che faccia da collante. Perché ci sarebbe bisogno di una figura carismatica. Qualcuno che sia plausibile con capo di un governo di minoranza, magari con l’appoggio esterno dei macroniani e un programma condiviso e limitato. Soluzione improbabile, ma quali altre vie restano?