Piaccia o non, il termine “democrazia”, nel nostro tempo, viene tendenzialmente identificato con il suffragio universale e diretto, ovvero con il voto segreto espresso dalla popolazione adulta a scadenze più o meno regolari. La sovranità popolare vi trova l’occasione rituale per esprimersi al massimo grado, orientando la barra della politica per il periodo fissato.
Il fatto che il diritto di voto non venga esercitato, segnala difficoltà nel rapporto tra cittadini e istituzioni. Anche perché al termine “diritto” si accoppia, nel caso in questione, “dovere”: non votare è legittima scelta individuale, ma contrasta con il dovere di ogni cittadino verso la collettività di appartenenza.
Perché allora capita in tanti paesi democratici che a votare vadano in così pochi? E, con riferimento al caso Italia, perché tra gli anni 10 e 20 del corrente secolo si è registrato un autentico crollo dell’afflusso alla cabina elettorale? Alle elezioni politiche del trentennio ’50-’70 del novecento, da noi si astenevano tra 6,1 e 7,2% degli elettori. Nel 1979, inaspettatamente, il dato saltò al 9,8% per il Senato e al 9,4% per la Camera. Dalle elezioni successive del 1983, quando per la prima volta il fenomeno dell’astensione si manifestò a due cifre percentuali, la disaffezione all’urna si espresse in un crescendo continuo e senza pause, e così proseguì sino ad inizio millennio, quando – siamo alle politiche del 2001 – nella scelta dei senatori si astenne il 18,7% degli aventi diritto e in quella dei deputati il 18,6%.
La regressione dell’astensionismo avviene nel 2006 quando Senato e Camera documentano l’astensione dal voto di “solo” il 16,4% degli elettori. Da allora, per 18 anni consecutivi, la quota del non voto si è allargata inesorabilmente sino a manifestarsi, alle politiche del 2022, con il 36,1% di astenuti sia al Senato che alla Camera, più che raddoppiando l’astensionismo di 16 anni prima. Alle europee di giugno 2024, la percentuale del 2022 apparirà benevola: l’astensione schizza al 50,31%.
Della descrizione del fenomeno, e delle presumibili ragioni che lo motivano, si occupa il libro in uscita da Rubbettino, curato da Giacomo Delledonne, Luca Gori, Giuseppe Martinico, Fabio Pacini. Il titolo ricorda ai distratti che il non voto pesa sui destini della nazione, come sempre pesa l’assenza, soprattutto quella volontaria.
Ragionando su Il peso dell’assente, i curatori partono da un richiamo alla vita parlamentare per lo più ignorato da chi segue l’astensionismo. La politica, in particolare quella che si esprime nell’aula parlamentare, ha condotto due approfondite analisi del fenomeno. La prima nel 1983 con il liberale Bozzi, la seconda con Draghi primo ministro.
Nel Libro bianco del 2022 “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”, la commissione di studio insediata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento con delega alle riforme istituzionali, ha formulato suggerimenti di policy e soluzioni a carattere multidisciplinare che, secondo gli autori de Il peso dell’assente, avrebbero meritato di essere eseguiti. Così per quanto riguarda la rimozione di alcuni ostacoli di tipo tecnico presenti nelle norme. Il libro evoca la necessità di provvedere alla continua manutenzione delle leggi elettorali, che tra l’altro avrebbe rilevanza sotto il profilo della piena attuazione del principio democratico.
Come si afferma in più di un’occasione ne Il peso dell’assente, si finisce per constatare che il ceto politico non ha voluto, né vuole, mettere seriamente mano alla razionalizzazione dell’impianto elettorale, preferendo non intaccare l’occasionalismo che ha consentito ad ogni maggioranza scaturita dal voto, di cucirsi addosso regole che la favoriscano nella competizione successiva. Il fatto che in Italia ad ogni elezione cambi governo, qualunque normativa elettorale viga, non ha fatto recedere da un atteggiamento miope, ad esempio non varando regole che scoraggino l’astensionismo involontario costretto dalle circostanze.
I numeri dell’astensionismo dovrebbero consigliare cautela sull’elezione diretta del primo ministro, meloniana “madre di tutte le riforme”. Stando alle politiche, nel 2022 sono mancati 16 milioni e 608mila elettori, 5 milioni più del 2013. Una tendenza del genere potrebbe generare condizioni per le quali si conferirebbero pieni poteri a una persona, non per volontà popolare riconoscibile in una maggioranza di elettori, ma per la preferenza espressa da un irrisorio 15% del corpo elettorale.