“Joe non è solo la persona giusta per questo lavoro, è l’unica persona per questo lavoro”: durante un evento di raccolta fondi a New York, la first lady Jill Biden ha fatto la sua parte, forse la più importante, nella strategia di contenimento del danno varata dal partito Democratico dopo il disastroso dibattito di giovedì sera: contro Donald Trump un Biden in affanno, confuso, con la voce roca, un’immagine che ha alimentato tutti i timori sulla sua età (se vincesse le elezioni di novembre comincerebbe il secondo mandato a 82 anni compiuti) sulla sua energia e persino sulla sua lucidità mentale. Novanta minuti di disastro.
Biden stesso ha fatto il possibile per rimediare, una cavalcata frenetica di sette comizi in quattro stati dopo il dibattito, comizi in cui è apparso lucido e vigoroso. Il weekend è dedicato al riposo a Camp David con mogli, figli e nipoti: un evento programmato fin dalla primavera che però ora finisce al microscopio.
Il contenimento del danno ha coinvolto tutte le alte sfere del partito. Secondo il New York Times, la sua direttrice di campagna Jen O’Malley Dillon si è messa al telefono chiamando a raccolta le truppe nelle ore successive al dibattito. Il “chief of staff” di Biden, Jeff Zients, ha telefonato al leader democratico del Senato Chuck Schumer. Barack Obama è sceso in campo scrivendo su X che una brutta serata capita a tutti. I consiglieri della Casa Bianca – Zients, Bruce Reed, Anita Dunn e Steve Ricchetti — hanno tutti chiamato i parlamentari e i donatori per rassicurarli che sì, certo, Biden dovrà dimostrare di avere l’energia giusta per il resto della campagna, ma ce la farà. Da Washington a Wilmington in Delaware, sede della campagna Biden, il messaggio è lo stesso: “non fatevi prendere dal panico”. Quentin Fulks, vice di O’Malley Dillon, ha detto a una riunione di tutto il personale “Nulla di fondamentale è cambiato ieri sera. Prenderemo dei colpi e ne assesteremo. Ci rialzeremo quando li prendiamo”. Messaggio rivolto ai parlamentari democratici, agli attivisti, e soprattutto ai molti donatori della ricca campagna Biden: il presidente, in attesa della convention di agosto che deve incoronarlo candidato alla successione di se stesso, deve essere supportato.
La questione dei donatori è fondante. Molto si è parlato nelle ultime 48 ore di un possibile candidato dell’ultim’ora – con la vicepresidente Kamala Harris e il governatore della California Gavin Newsom considerati fra i più papabili. Un presidente in carica che ha già ottenuto i delegati necessari alla nomination dalle primarie però non si sostituisce con un tratto di penna, nonostante gli appelli degli opinionisti: l’unico luogo dove potrebbe accadere è proprio la convention, e dovrebbe essere Biden a farsi da parte. Ma chi lo ha sostenuto finora donando milioni di dollari alla campagna sarebbe disposto a cambiare cavallo in corsa?
La spaccatura quindi rimane: da un lato la leadership del partito e dall’altra… gli elettori, preoccupati e poco invogliati ad andare a votare con l’unico incentivo di impedire il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.
Venerdì sera un evento di raccolta fondi a cui era presente Barack Obama ha discusso soprattutto di questo. L’ex presidente ha rappresentato ai donatori presenti l’urgenza di sconfiggere Trump. Molto di loro, secondo fonti del New York Times, hanno insistito con i democratici presenti – fra cui Hakeem Jeffries, leader della minoranza alla Camera dei rappresentanti – perché si faccia pressione su Biden perché si ritiri. Lo dice il deputato del New York Gregory W. Meeks: “sono molto preoccupati, alcuni mi hanno detto che erano nel panico, che bisogna fare qualcosa. Ma altri sono venuti a dirmi che è troppo tardi per cambiare strada”.
Secondo i sondaggi di opinione, un buon 45% degli elettori democratici prima del dibattito non avevano fiducia in Biden come candidato. Fiducia certamente non accresciuta dalla performance del presidente; solo che l’alternativa – qualunque alternativa – sembra ancora più a rischio.