Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che la fase “intensiva” dell’assedio a Gaza si concluderà presto, ma ha aggiunto che lo Stato ebraico accetterà solo un accordo di cessate il fuoco “parziale” che non metta fine alla guerra – e che consenta al contempo a Tel Aviv di concentrare truppe e mezzi al confine con il Libano.
Durante un’intervista andata in onda domenica sul network nazionale Channel 14, Netanyahu ha sostenuto che la fase attuale dei combattimenti nella Striscia sia destinata a concludersi presto, ma che l’offensiva contro Hamas continuerà fino all’obiettivo dello sradicamento totale della milizia palestinese responsabile degli attentati del 7 ottobre. Il premier ha inoltre affermato di essere disposto a sottoscrivere un accordo parziale per liberare alcuni ostaggi, pur continuando le operazioni a Gaza.
“No, non sono disposto a terminare la guerra e lasciare Hamas intatta. Sono pronto a concludere un accordo parziale che ci restituisca parte della popolazione”, ha detto Netanyahu al programma The Patriots. “Ma siamo obbligati a continuare i combattimenti dopo una pausa per raggiungere il nostro obiettivo di distruggere Hamas”.
Le dichiarazioni di Netanyahu allontanano Tel Aviv dal negoziato sull’accordo di tregua in tre fasi sostenuto dagli Stati Uniti con Hamas, amplificando le tensioni con l’amministrazione Biden e con le famiglie degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza. Le parole di “Bibi” intensificano inoltre le preoccupazioni internazionali per un’escalation in Libano con Hezbollah, gruppo militante sciita sostenuto dall’Iran, che potrebbe di fatto innescare un vero e proprio conflitto regionale e trascinare in battaglia anche Teheran.
Il piano in tre fasi avanzato dalla Casa Bianca prevede un cessate il fuoco di almeno sei settimane durante le quali vengano rilasciati tutti gli ostaggi israeliani a Gaza in cambio di centinaia di palestinesi detenuti in Israele e dal ritiro delle truppe israeliane dall’enclave palestinese assediata.
Hamas è contrario al rilascio degli ostaggi rimanenti a meno che non vengano rispettate le condizioni di un cessate il fuoco permanente e un ritiro completo delle forze israeliane da Gaza. Netanyahu ha invece ribadito che Israele non abbandonerà Gaza finché tutti gli ostaggi non saranno tornati in patria e Hamas non sia stato debellato.
Al contempo, la tensione è aumentata anche al confine settentrionale con il Libano, dove domenica Hezbollah ha lanciato una serie di attacchi contro il territorio israeliano. Dall’8 ottobre, i miliziani sciiti attaccano quasi quotidianamente le comunità e le postazioni militari israeliane lungo il confine, e sostengono che continueranno a farlo fino a quando non verrà raggiunta una tregua a Gaza. In risposta, gli israeliani hanno preso a bombardare le postazioni Hezbollah e alcuni villaggi libanesi al confine. La frequenza degli attacchi è aumentata esponenzialmente nell’ultima settimana, dopo che un raid aereo israeliano ha ucciso un alto comandante di Hezbollah nel sud del Libano.
Nell’intervista, Netanyahu ha dichiarato che un accordo con Hezbollah sarebbe possibile solo alle condizioni di Israele – ossia dopo l’eliminazione di Hamas. Sulla vicenda è intervenuto anche il Governo iraniano, secondo cui Hezbollah è in grado di difendere se stesso e il Libano, e Israele sarebbe il “perdente finale” in una guerra contro la milizia confinante.
I timori di un’escalation del conflitto arrivano fino a Washington, dove lunedì il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha discusso della tensione al confine con Amos Hochstein, consigliere senior di Joe Biden. I rapporti di Israele con lo storico alleato statunitense risentono tuttavia dei dissidi tra Netanyahu e l’amministrazione Biden, che ha più volte chiesto al leader di Tel Aviv di salvaguardare la popolazione civile a Gaza.
Ai suoi omologhi statunitensi, Gallant ha ribadito l’importanza dell’alleanza israelo-americana, anche se qualche ora prima Netanyahu aveva accusato Washington di aver ritardato l’invio armi destinate a Israele – un’accusa respinta dall’amministrazione Biden.