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June 23, 2024
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Il molo del Pentagono a Gaza è un progetto fallito e imbarazza Biden

Stephen Morrison (Center for Strategic and International Studies): "hanno sbagliato i calcoli"

Alessandra QuattrocchibyAlessandra Quattrocchi
A Gaza il molo galleggiante USA preso d’assalto, la distribuzione non funziona

Vista aereo del molo costruito dall'esercito Usa a Gaza

Time: 3 mins read

Era un progetto faraonico, in poche settimane è diventato una fonte di imbarazzo per il Pentagono e per il presidente Joe Biden, e persino un simbolo di quanto sia difficile fare qualunque cosa in Medio Oriente. Il futuro del molo galleggiante costruito dall’esercito Usa per scaricare aiuti a Gaza ormai è in questione: troppo fragile di fronte al Mediterraneo in tempesta, e di fronte alle sfide logistiche che hanno tartassato la sua funzionalità.

Dal 12 maggio, quando è stato inaugurato dopo mesi di lavoro e una spesa di 230 milioni di dollari, il molo è stato in funzione solo 12 giorni. E in questi 12 giorni, il grosso delle casse arrivate via mare da Cipro è rimasto fermo sulla spiaggia, perché le condizioni di (in)sicurezza hanno impedito ai camion di raccoglierle e portarle ai magazzini nella Striscia.

Il 7 marzo, nel Discorso sullo Stato dell’Unione, Joe Biden aveva detto che il molo avrebbe “consentito un massiccio aumento dell’assistenza umanitaria che potrà entrare a Gaza ogni giorno”.  Promessa incauta. Ci sono voluti oltre due mesi per assembleare le due strutture, un pontile galleggiante qualche miglia al largo, e un molo che arriva sulla spiaggia di Gaza. Coinvolti un migliaio di soldati e marinai e una piccola flotta.

Finora questo corridoio marittimo però ha convogliato a Gaza solo il contenuto di 250 camion di aiuti e cibo (4.100 tonnellate), meno della metà di quanti ne entravano a Gaza in un giorno solo via terra, prima della guerra. Buona parte di questi container inoltre è ancora ai piedi del molo, in un magazzino allestito sulla spiaggia.

Facciamo un passo indietro. Gli Stati Uniti hanno deciso di costruire il molo per ovviare al blocco degli aiuti umanitari: sono indispensabili anche in tempi normali per la sopravvivenza a Gaza, territorio chiuso dove abitano due milioni di persone, a sud confinante con l’Egitto e a nord con Israele tramite valichi aperti solo con l’ok dello Stato ebraico. Dal 7 ottobre, cioè dal giorno dell’assalto a Israele di Hamas,l’organizzazione estremista che governa la Striscia, costato 1.200 morti e centinaia di ostaggi, Israele lascia passare i camion di aiuti col contagocce per evitare possibile materiale utile a Hamas. Del resto diffida apertamente dell’UNWRA, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi che organizza gli aiuti nella Striscia, alcuni membri della quale sono anche stati accusati di partecipazione diretta all’assalto del 7 ottobre (accuse mai dimostrate). La popolazione del territorio, dall’8 ottobre bombardata e poi invasa via terra dall’esercito israeliano (oltre 37.000 persone sono morte finora), con gli ospedali distrutti e costretta a sfollare di qua e di là, ha molto più bisogno di assistenza di prima, ma l’assistenza non c’è.

Per Washington, sospesa fra la fedeltà all’alleato israeliano e l’esasperazione per l’intransigenza del governo di Benjamin Netanyahu, il molo galleggiante era un modo per dimostrare la sua presenza.

Numerose morti, di operatori umanitari e di palestinesi, hanno travagliato lte operazioni di consegna. L’8 giugno poi 274 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano nel corso di una missione che ha liberato tre degli ostaggi ancora prigionieri a Gaza. Da allora il WFP (World Food Programme) ha sospeso i convogli che avrebbero dovuto spostare i container dall’area del molo sulla spiaggia fino ai magazzini.

Queste sono sfide logistiche che erano prevedibili ma non dipendono dagli Stati Uniti. Ma è la struttura stessa (Joint Logistics Over-the-Shore, JLOTS) ad essere meno robusta di quanto il Pentagono avesse immaginato. Il mare è stato più mosso della media stagionale; il Pentagono aveva previsto una piattaforma in grado di resistere a un mare “stato 3”, cioè con onde fino a 1,25 metri, che avrebbe dovuto restare in funzione per la primavera e l’estate, fino a settembre. Ma il 25 maggio, una burrasca la ha danneggiata. La riparazione è avvenuta nel porto israeliano di Ashdod e la struttura è stata rimessa in funzione l’8 giugno ma solo per due giorni;  il 14 è stata di nuovo smontata e portata a Ashdod per precauzione contro il mare grosso. È rientrato in funzione mercoledì 19.

Ma quanto tempo sarà ancora attiva? Il Pentagono nega che una decisione sia stata presa, però circolano voci che potrebbe essere smantellata per sempre a inizio luglio.

“Hanno fatto male i calcoli”: è l’opinione di Stephen Morrison, vicepresidente del Center for Strategic and International Studies, think tank di Washington, intervistato dal Guardian. “Non hanno messo in conto quello che sarebbe successo con il tempo. Il dipartimento della Difesa ne esce, diciamo, umiliato”.

La maggioranza dei volontari delle ONG in funzione a Gaza dicono che ogni aiuto è meglio di nulla, ma criticano il fatto che questo costosissimo, spettacolare sforzo logistico abbia distolto l’attenzione e l’energia dalla necessità di fare pressione su Israele perché consenta l’ingresso di camion a Gaza, di gran lunga il sistema più efficace per distribuire aiuti.

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Alessandra Quattrocchi

Alessandra Quattrocchi

Giornalista e scrittrice, si occupa di politica nazionale e internazionale, cultura, società lingua e letteratura Alessandra Quattrocchi is a journalist, essayist, videomaker and storyteller. She deals mainly in politics, literature and the arts.

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