“Sta cercando di risolvere il grave problema che ha”, le parole di Joe Biden rispondendo a una domanda sul comportamento del premier israeliano Netanyahu. Se non fosse tragica la situazione in Israele, Palestina, Libano e dintorni la frase del presidente americano potrebbe suonare quasi come una divertente battuta di spirito.
Il Nord d’Israele, dal mediterraneo alla Siria, ossia una larga fascia di territorio al confine con il Libano, brucia: campi divorati dal fuoco dei mortai, missili o altri proiettili sparati da Hezbollah, case, scuole, chiuse e praticamente abbandonate dagli abitanti che si sono rifugiati più a Sud. Per quanto tempo ancora? Politici, uomini di governo e uomini in divisa si dicono pronti a intervenire con forza anche al costo di appiattire il piccolo tormentato Paese arabo a Nord. A Sud, brucia la striscia di Gaza, o meglio quel poco che è rimasta del territorio tra il Mediterraneo e il deserto del Negev: i suoi abitanti, palestinesi, donne, bambini, uomini, civili e militanti, continuano a morire.
Si parla di un nuovo piano per fermare la guerra ma nessuno crede che sia fattibile. Hamas non cede – né militarmente, né politicamente, né a Israele e nemmeno all’Autorità nazionale palestinese. Israele, per bocca di quasi tutti gli israeliani, vuole il ritorno dei pochi ostaggi in mano a Hamas ma la maggioranza degli ebrei israeliani, secondo i sondaggi di casa loro, non pensa proprio ai palestinesi come persone con cui convivere. I media di Tel Aviv risparmiano loro le scene di devastazione a Gaza e il grande pubblico – concordano quasi tutti i media locali – non sa cosa è diventata la striscia in questi otto lunghi mesi di bombardamenti continui.
È ormai chiaro che le guerre che si combattono sono tante.
Probabilmente se qualcuno chiedesse a Netanyahu come vede l’atteggiamento ambiguo di Biden e della sua amministrazione nei confronti del Medio Oriente, di Israele, di Gaza e dei palestinesi direbbe: “Sta cercando di risolvere il grave problema che ha”. Nei prossimi giorni una delle più importanti battaglie si svolgerà a Washington dove il presidente americano sta lottando per convincere la sua stessa base elettorale a votare per il partito democratico e per lui alle presidenziali del prossimo novembre.
Netanyahu per anni ha lavorato su se stesso per perfezionare le proprie abilità di oratore, soprattutto di fronte a un pubblico come quello americano, come i senatori e rappresentanti del Congresso che lo ascolteranno in una seduta unificata del parlamento. Essendo tutti, deputati e senatori, anche se talvolta critici di Israele sostenitori di Israele, Netanyahu conta di poterli convincere che è pronto a un accordo ma solo se significa distruggere Hamas e mantenere il controllo della striscia. Ossia il contrario di quello che chiede il movimento integralista palestinese che gli ha risposto proprio ieri per bocca del suo leader politico Ismail Haniyeh. “Prenderemo in considerazione in modo serio e positivo qualsiasi accordo di cessate il fuoco basato sulla sospensione totale della guerra, sul completo ritiro israeliano da Gaza e su un accordo di scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi”.