Arriva il doppio via libera di Israele e Hamas al piano di pace presentato venerdì dal presidente statunitense Joe Biden per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza.
Mentre la campagna militare israeliana volge ormai al suo ottavo mese, la proposta della Casa Bianca ha incassato nelle scorse ore il sostegno di buona parte della comunità internazionale, compreso il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, la presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen, il Regno Unito e i maggiori attori mediorientali.
Tutto ora dipende solo ed esclusivamente dalle due parti in conflitto. Mentre il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry ha dichiarato che Hamas “ha accolto con favore la proposta”, la bozza ha messo in luce la fragilità della coalizione di governo di Benjamin Netanyahu, ostaggio dell’estrema destra sionista che ha minacciato di far crollare l’esecutivo in caso di concessioni ai militanti palestinesi.
Il piano di Washington è suddiviso in tre fasi temporali:
Prima Fase: Tregua di 6 settimane e rilascio dei primi ostaggi
La prima fase prevede una tregua di sei settimane durante la quale Hamas sarà tenuto a rilasciare un certo numero di ostaggi in cambio del ritiro delle truppe israeliane dalle aree più densamente popolate di Gaza (tra cui Rafah).
Questo periodo dovrebbe consentire un significativo aumento dell’afflusso di aiuti umanitari e il ritorno della popolazione palestinese alle proprie abitazioni, anche se molte di queste sono state rase al suolo a causa dei bombardamenti israeliani, che hanno inoltre irrimediabilmente danneggiato scuole, strutture sanitarie, strade, fognature e condutture dell’acqua a Khan Younis, Gaza City e altrove.

Seconda Fase: Fine delle ostilità e scambio di prigionieri
La seconda fase, anch’essa di sei settimane, si pone l’ambizioso obiettivo di mettere la parola fine alle ostilità. Hamas dovrebbe rilasciare tutti gli ostaggi israeliani rimanenti in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi (in passato la proporzione è stata di tre palestinesi liberati ogni ostaggio israeliano rilasciato). A sua volta, l’esercito israeliano dovrebbe ritirarsi da tutta la Striscia di Gaza, riportando la situazione allo status quo ante il 7 ottobre.
Se sulla prima fase c’è l’accordo di massima dei due combattenti, la seconda è un vero e proprio campo minato. Dagli ambienti Hamas trapela moderata approvazione per la bozza, che alcuni ministri israeliani dell’ultradestra – tra cui Bezalel Smotrich (Finanze) e Itamar Ben-Gvir (Sicurezza Nazionale) – hanno descritto come una “resa totale”, minacciando di far cadere il traballante governo di Netanyahu.
Funzionari israeliani hanno ribadito che l’obiettivo di Tel Aviv rimane quello di “distruggere” Hamas, e che questo è perseguibile solo manu militari con un presidio fisso nell’enclave. Secondo i media israeliani, comunque, in una riunione parlamentare a porte chiuse “Bibi” si sarebbe detto favorevole a cominciare la prima fase (cessate il fuoco di sei settimane e liberazione di alcuni ostaggi), discutendo poi in un secondo momento il da farsi.
Terza Fase: Ricostruzione di Gaza
La terza e ultima fase del piano riguarda l’avvio di un progetto di ricostruzione per Gaza. Non sarà invero un compito semplice: secondo un rapporto dell’ONU pubblicato a inizio maggio, la ricostruzione urbana dell’enclave devastata richiederà un investimento di almeno 40 miliardi di dollari e lavori che dureranno ottimisticamente fino al 2040.
Secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, più di 79.000 case a Gaza sono state “completamente distrutte” durante il conflitto e altre 370.000 sono state danneggiate, cancellando 44 anni di sviluppo e riportando la Striscia al 1980.
Il bilancio umano è persino peggiore di quello infrastrutturale: già oggi oltre sei palestinesi su dieci (quasi due milioni di persone) vivono in condizioni di povertà quasi assoluta. Negli ultimi otto mesi i morti palestinesi ammonterebbero ad almeno 36.000, secondo i dati del ministero della Sanità di Gaza (che fa capo ad Hamas), mentre Hamas avrebbe ucciso circa 1.200 israeliani – quasi tutti nei raid terroristici di 7 ottobre.