Il Senato ha approvato l’articolo 1 del disegno di legge costituzionale sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio, il cosiddetto “premierato”. La riforma costituzionale voluta dal governo Meloni, se confermata, fra le altre cose comporterà la fine della possibilità per il capo dello Stato di nominare i senatori a vita.
Tuttavia, affinché la riforma diventi definitiva, dovrà superare ulteriori passaggi parlamentari, e un eventuale referendum confermativo. Il disegno di legge in esame non avrà effetti retroattivi sugli attuali senatori a vita o sugli ex Presidenti della Repubblica, che manterranno lo status di senatori di diritto a vita.
Attualmente, la Costituzione consente al Presidente della Repubblica di nominare fino a cinque senatori a vita. Questo limite rappresenta il numero massimo di senatori a vita in carica contemporaneamente, come stabilito dalla legge costituzionale del 2020.
Il tema dei senatori a vita ha suscitato interesse e dibattiti nel corso degli anni. Nel 2006, una legge costituzionale che prevedeva la riduzione del loro numero a tre è stata respinta da un referendum.
Nel 2016, un’altra legge costituzionale che mirava a limitare a sette anni il mandato dei senatori di nomina presidenziale è stata anch’essa bocciata dai cittadini.
Le radici del dibattito sui senatori a vita affondano all’Assemblea Costituente, dove il tema generò controversie. Le Sinistre si opposero con fermezza, sostenendo che qualsiasi nomina dall’alto, anche se limitata a pochi membri, rappresentava una “mostruosità” in un regime democratico. La Commissione dei Settantacinque respinse la proposta di riservare al Presidente della Repubblica la nomina di un determinato numero di senatori. Anche il relatore Costantino Mortati si espresse contro, evidenziando come la nomina presidenziale a vita avrebbe alterato la composizione del Senato.
Nonostante le posizioni contrastanti, il 9 ottobre 1947, l’Assemblea Costituente approvò la proposta che concedeva al capo dello Stato il potere di nominare senatori a vita. La formulazione finale, inclusa nel testo costituzionale, stabilisce: “Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
Nella prassi, il dibattito sul numero dei senatori a vita è stato molto intenso. La legge costituzionale del 2020 ha chiarito definitivamente la questione: il numero massimo complessivo di senatori a vita è fissato a cinque. In passato, si era verificata incertezza riguardo se tale limite fosse complessivo o riferito a ciascun Presidente della Repubblica.
La prima interpretazione, seguita da Einaudi e dai suoi successori, fu modificata da Pertini, con il supporto di Cossiga, per poi tornare ad essere adottata dai Presidenti successivi.
Il 18 luglio del 1984, Pertini decise di nominare senatori a vita Carlo Bo e Norberto Bobbio, nonostante già ci fossero cinque senatori in carica, di cui tre nominati tra il 1980 e il 1982 dallo stesso Pertini. La decisione scatenò una forte polemica che coinvolse partiti e giuristi. Dopo giorni di dibattiti, Pertini rese pubblico uno scambio di lettere con Cossiga, in quel momento Presidente del Senato. Cossiga aveva sostenuto che ogni Presidente della Repubblica potesse nominare fino a cinque senatori a vita. Con questa interpretazione, Pertini procedette con le nomine.
Sette anni dopo, fu lo stesso Cossiga protagonista di un’altra controversa decisione. Il 1° giugno del 1991, nominò contemporaneamente quattro senatori a vita: Gianni Agnelli, l’ex segretario del Partito Socialista Francesco De Martino, il presidente del Consiglio in carica Giulio Andreotti e uno dei massimi esponenti della DC, Paolo Emilio Taviani. Queste nomine portarono il numero complessivo dei senatori a vita a dieci.
Anni dopo, Cossiga cambiò posizione sull’istituto dei senatori a vita. Nel 2002, sostenne le iniziative parlamentari per riformare il loro ruolo, proponendo di privarli del diritto di voto. Affermò di essere convinto che l’istituto dei senatori a vita rappresentasse, dal punto di vista formale, una violazione del principio della rappresentanza popolare.

Oscar Luigi Scalfaro, succeduto a Cossiga nel 1992, decise di non nominare alcun senatore a vita durante il suo mandato, interpretando in senso restrittivo l’articolo 59 della Costituzione.
Tuttavia, non passò molto tempo prima che nuove polemiche coinvolgessero i senatori a vita.
Nel maggio del 1994, Il Presidente del Consiglio Berlusconi, consapevole della esigua maggioranza al Senato, si rivolge esplicitamente ai senatori di diritto e a vita per ottenere la fiducia al suo governo. I voti favorevoli di Gianni Agnelli, Cossiga e Giovanni Leone, e l’astensione di Paolo Emilio Taviani e Giovanni Spadolini, si rivelarono decisivi per garantire la maggioranza con un solo voto in più rispetto a quelli necessari per far nascere il governo.
Nel 2006, fu il centrodestra a criticare il ruolo dei senatori a vita nel garantire la maggioranza al secondo governo di Romano Prodi. Già nel primo voto di fiducia, i parlamentari del centrodestra protestano contro il sostegno, dato a Prodi dai senatori a vita Pininfarina, Scalfaro, Cossiga, Andreotti, Rita Levi Montalcini.
Durante i due mandati di Giorgio Napolitano, il ruolo dei senatori a vita tornò al centro delle polemiche politiche. Il 9 novembre del 2011, Napolitano nominò senatore Mario Monti, che pochi giorni dopo ricevette l’incarico di formare il governo. Fu interpretata come una sorta di investitura para-politica per legittimare il ruolo di premier (coincidente con le dimissioni ‘forzate’ di Silvio Berlusconi da capo del governo). Il centrodestra criticò la tempistica, sollevando dubbi sulla neutralità dell’azione presidenziale.

Le controversie continuarono quando Napolitano nominò quattro nuovi senatori a vita: il direttore d’orchestra Claudio Abbado, la scienziata Elena Cattaneo, l’architetto Renzo Piano e il fisico Carlo Rubbia. Queste nomine furono percepite come ostili al centrodestra e in linea con il governo di centrosinistra.
Il 19 dicembre del 2021, i senatori a vita Monti, Cattaneo e Segre hanno svolto un ruolo chiave nel garantire a Giuseppe Conte la maggioranza al Senato, in un momento di imminente crisi della coalizione che sosteneva il suo governo.
Nella storia repubblicana, i senatori a vita di nomina presidenziale sono stati in totale 38. I primi furono nominati il 5 dicembre 1949, su iniziativa di Luigi Einaudi, e furono il matematico Guido Castelnuovo e il direttore d’orchestra Arturo Toscanini, che non accettò la designazione.
L’ultima nomina, voluta da Sergio Mattarella il 19 gennaio 2018, è stata quella di Liliana Segre, sopravvissuta alla deportazione e alla prigionia nei campi di sterminio nazisti, nota per il suo impegno contro l’antisemitismo e per la memoria dell’Olocausto.