Il molo galleggiante costruito dall’esercito USA per arrivare a Gaza – e teoricamente in attività già da venerdì 17 maggio – non funziona come dovrebbe e non riesce a rifornire la popolazione palestinese di cibo e aiuti. Il problema non è nella struttura JLOTS, o Joint Logistics Over-the-Shore- costata due mesi di lavoro, 320 milioni di dollari e l’impegno di migliaia di marinai e soldati statunitensi – ma nella distribuzione a terra degli aiuti una volta arrivati fino al molo.
Nel corso del weekend folle di gazani disperati hanno intercettato i camion con gli aiuti prendendoli d’assalto. Un palestinese è rimasto ucciso e e l’Onu ha sospeso le operazioni fino a quando “le sfide logistiche” non saranno risolte, invitando Israele a garantire condizioni di sicurezza per le organizzazioni umanitarie. Secondo il World Food Programme, solo 5 dei 16 camion di aiuti che avevano lasciato il molo sabato scorso sono arrivati al magazzino intatti; gli altri 11 sono stati svuotati dalla folla.

Secondo CNN, i palestinesi non si fidano. “Ho dei dubbi” ha detto un residente di Gaza, identificato come Mounir Ayad, vicino al molo “Non capisco come funziona questo molo galleggiante e a che serve. Dicono che è per gli aiuti, ma la gente ha paura. Sono aiuti o qualcos’altro? Sappiamo che gli Stati Uniti non hanno mai aiutato la causa palestinese, non crediamo che siano per noi”.
L’operazione è complessa: il materiale arrivato al molo viene scaricato da camion sorvegliati dagli israeliani che vanno a un’area di immagazzinaggio, e solo da lì dovrebbero essere presi in consegna dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Per ora, ammette il Pentagono, nessuna delle scatole scaricate – 569 tonnellate di materiale e cibo – è arrivata alla popolazione di Gaza per i canali che erano stati stabiliti. Gli Stati Uniti stanno lavorando con l’Onu e con Israele, afferma il portavoce del Pentagono, il generale Pat Ryder, per identificare “vie sicure di consegna” all’interno dell’enclave.

Il problema infatti è anche nelle condizioni di distribuzione in quella che è una zona di guerra sotto le bombe israeliane. Un portavoce del WFP, Steve Taravella, ha detto alla Associated Press “se non ci sono sufficienti aiuti che entrano a Gaza questi problemi continueranno a riproporsi. Per il successo di questa operazione bisogna che tutti siano convinti che questo non è un evento unico, bisogna costruire la fiducia. Continuiamo a chiedere altre strade sicure per le consegne e se non abbiamo garanzie e coordinate la situazione non si risolverà”. Martedì 21 maggio il WFP ha annunciato di aver sospeso la distribuzione degli aiuti alimentari a Rafah, la città nel sud della Striscia dove un milione e mezzo di palestinesi si sono ammassati per mesi cercando scampo, ora oggetto dell’offensiva israeliana; novecentomila palestinesi sarebbero scappati dalla zona e le consegne sono state sospesi anche per la mancanza di sicurezza.