Morto un re se ne farà un altro sentenzia un vecchio adagio. L’erede del presidente iraniano Ebrahim Raisi sarà scelto e nominato dopo i suoi funerali. Con calma, e soprattutto dopo che si sarà capito se l’incidente del suo elicottero fu in verità un attentato ed eventualmente voluto da chi. Un nemico interno, più o meno estremista e fanatico? O i giovani iraniani sostenitori di un futuro laico per il loro paese che, secondo gli esperti, non sembrano siano sufficientemente organizzati per sfidare il regime. Israele, la piccola Satana come fu definita anni fa dal regime degli ayatollah, ha fatto sapere subito che non c’entra. Dunque, si tornerebbe alla prima ipotesi: una questione di maltempo.
Alle “misteriose” potenze che gestiscono il mondo d’oggi – con i suoi sempre più complessi e spesso incomprensibili equilibri o squilibri politici, sociali e ovviamente economici – interessa poco. Per loro – a Occidente come a Oriente – l’impatto della richiesta del procuratore della Corte penale internazionale è più importante e potenzialmente più destabilizzante della morte del presidente di Teheran. Il Medio Oriente sta cambiando. Deve cambiare e i passaggi, incerti, non sono e non saranno indolori.
Karim Khan, il procuratore della Corte (che né Israele né gli Usa hanno mai riconosciuto) ha detto che vuole l’arresto del premier israeliano Benjamin Netanyahu e del leader di Hamas Yehiya Sinwar, con l’accusa di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Vuole anche mandati di arresto per il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e per altri due leader di Hamas: Mohammed Diab Ibrahim al-Masri, il leader delle Brigate Izzedine al-Qassam e meglio conosciuto come Mohammed Deif, e Ismail Haniyeh, leader politico del movimento.
Mettere sullo stesso livello i leader di Israele e di Hamas è una sfida non soltanto a chi, in qualche modo, vede da sempre lo stato a maggioranza ebraica come una lunga mano dell’Occidente in un Medio Oriente, ricco di petrolio indispensabile per la crescita del capitalismo guidato dagli Stati Uniti.
Per i capi di Hamas sarebbe una vittoria politica. Per chi sognava uno stato di Israele diverso, la decisione della Corte segnalerebbe una sconfitta enorme come sottolinea il movimento israeliano B’tselem per il quale “la comunità internazionale sta dicendo a Israele che non può più continuare con la sua politica di violenza, uccisioni e distruzione senza responsabilità”. E ancora: “La violenza israeliana diretta contro i palestinesi per perpetuare l’occupazione è violenza di Stato ed è inerente al regime di apartheid israeliano. Questo è vero in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e ovunque”.
Nonostante le critiche, Netanyahu e Gallant, si considerano veri patrioti e forse saranno soddisfatti se un giorno, nemmeno tanto lontano, saranno “wanted” come lo furono Begin e Shamir, due storici leader israeliani della stessa formazione politica, il Likud. I vecchi manifesti , con le loro foto , da ricercati della polizia britannica si trovavano ancora pochi anni fa, quasi dimenticati, negli aeroporti e nei porti inglesi. C’erano, nascosti o coperti, quando Begin ormai molti anni fa fece la sua prima visita di stato a Londra. I terroristi di ieri erano diventati eroi, leader riconosciuti e stimati dello Stato e anche del mondo frantumato che erano riusciti a creare.
Un mondo, quello mediorientale arabo e persiano, vale la pena ricordare, molto diverso da quello che vediamo oggi e forse da quello che vedremo in un futuro non distante. La cultura occidentale, negli anni del colonialismo, aveva introdotto nel Vicino Oriente molte ideologie laiche. In Siria e in Iraq il partito socialista Baath dominava. In Sudan, paese immenso e immerso in un conflitto post-coloniale, negli anni Settanta dello scorso secolo il Partito comunista era al potere a Khartum. Il popolo arabo della Palestina in lotta contro Israele era laico, e alcuni dei movimenti di liberazione avevano adottato teorie economiche e sociali marxiste, copiando in parte da quello che succedeva in Israele.
L’Egitto, con la sua storia millenaria, usciva dal colonialismo europeo con il laico Nasser e in Nord Africa, Muammar Gheddafi, con il suo libro verde (colore dell’Islam) cercava, seppure in modo confuso, di indicare un modo laico, socialista, per la crescita del suo numericamente piccolo popolo, ereditato dai rimasugli del colonialismo italiano più feroce e da un lunga storia come parte del vasto impero ottomano.
E passiamo all’Iran, uno dei pochi paesi antichi della regione, ricco di petrolio e minerali pregiati il cui governo democratico e laico fu rovesciato da un golpe ordito da Usa e GB, e poi trasformato in una tecnocrazia religioso con un anti-occidentale.
Il futuro di questo mondo così vicino e collegato alla nostra Europa è incerto fino a quando religione e fanatismo continueranno a dominare. Troppo spesso con il consenso e il sostegno dei nostri governi e delle nostre industrie.