Chico Forti è tornato in Italia dalla Florida nei giorni scorsi. Ha fatto il viaggio a bordo di un aereo Falcon 900 del 31esimo Stormo dell’Aeronautica italiana. A riceverlo all’aeroporto militare di Pratica di Mare, c’era la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Chico Forti non era un ostaggio liberato dopo mesi di trattative, né uno scienziato che ha ottenuto un premio Nobel, né un nuovo Cristoforo Colombo dello spazio, né un medico che ha scoperto la terapia contro il cancro. Era un detenuto, condannato all’ergastolo, rilasciato dopo che si era dichiarato colpevole dell’omicidio, con l’impegno del governo italiano che sconterà la pena in Italia.
La vicenda di Chico Forti è molto controversa e anche bizzarra. Forti nasce a Trento nel 1959. Negli Anni Ottanta vince 80 mila euro prendendo parte a un programma televisivo condotto da Mike Bongiorno. Con quei soldi si trasferisce negli Stati Uniti e intraprendere l’attività di windsurfer professionista. Si stabilisce in Florida. Partecipa a centinaia di gare. Nel mondo del windsurf è una personalità. Si sposa e diventa padre di tre figli. Non più giovanissimo lascia le competizioni e alterna la sua attività di agente immobiliare e mediatore di affari. La sua vita ha una svolta drammatica nel 1998 con l’omicidio di Dale Pike, il figlio di Anthony Pike, proprietario del “Pikes Hotel”, un famoso locale di Ibiza che Forti stava per acquistare. Dale Pike era contrario alla vendita e lo accusava di aver approfittato della senilità del padre.
Il corpo nudo di Dale Pike venne rinvenuto su un tratto isolato di spiaggia a Virginia Key, pochi minuti da Key Biscane. La perizia del medico legale stabilì che venne ucciso con due proiettili in testa, sparati da una pistola calibro 22. L’arma non è mai stata ritrovata.
Forti venne interrogato dalla polizia e disse tante bugie. Negò di aver incontrato Pike, di aver parlato con lui. Invece, affermò che era in casa con la moglie quando l’omicidio venne commesso. Le menzogne vennero scoperte: andò a prendere Dale Pike all’aeroporto, la moglie negò che il marito fosse con lei la sera dell’omicidio, il suo cellulare mostrava gli intensi scambi telefonici e i messaggi che i due avevano avuto e tracce della particolare sabbia della spiaggia, dove l’omicidio era stato commesso, vennero trovate sulle sue scarpe e sulla sua auto.
Tanti indizi, ma probabilmente a convincere i 12 giurati della sua colpevolezza furono proprio le sue bugie. Forti ha sempre proclamato la sua innocenza, ma nei giorni scorsi ha ammesso la sua colpevolezza, altrimenti non sarebbe stato estradato.
Secondo l’Osa, l’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, gli italiani detenuti all’estero sono 2.663. Negli Stati Uniti ce ne sono 91. La vicenda di Forti è unica, però, per la strumentalizzazione politica che ne è stata fatta.
Molti sono i criminali che Italia e Stati Uniti si scambiano, ma quasi tutti sono per reati commessi nei propri Paesi di origine a cui ha fatto seguito la fuga. Alcuni anni fa fu estradato dagli Stati Uniti Ferdinando Gallina, killer di Cosa Nostra, della famiglia mafiosa di Carini e braccio destro del boss Salvatore Lo Piccolo, che in Italia non ci voleva tornare. Era andato dai “cugini” a Brooklyn dove per alcuni anni aveva fatto perdere le sue tracce. Quando venne rimpatriato per lui non c’erano i fotografi, o il premier che lo accoglieva. Anche per lui c’era l’ergastolo.

Senza dubbio, il più famoso dei detenuti in America trasferito in Italia è Lucky Luciano, il boss di Cosa Nostra che stava scontando una condanna a 50 anni di carcere per il suo “Sindacato” criminale. Venne estradato “per meriti di guerra” dopo aver preso parte all’“Operation Underwold” nel febbraio del 1946. Aveva lasciato Lercara Friddi, in Sicilia, quando aveva 8 anni. Per lui non ci furono onori al suo arrivo in Italia. Anzi, l’allora ministro degli Interni, Giuseppe Romita, a malvoglia accettò la sua estradizione e per calmarlo gli americani misero il boss di Cosa Nostra su una nave che trasportava un carico di farina per l’Italia. Un viaggio scomodo quello del boss, ma per lui vantaggioso: aveva lasciato la cella di Sing Sing per stabilire il suo domicilio a Roma all’Excelsior di Via Veneto e poi in un appartamento a Napoli al Vomero con veduta mozzafiato sul Golfo.
Quando Silvia Baraldini venne estradata in Italia, dopo che era stata condannata negli Stati Uniti a 43 anni di prigione, per il suo sostegno ai terroristi del Black Liberation Army, aveva già scontato 17 anni. Venne ricevuta all’aeroporto da Armando Cossutta, leader del Partito dei Comunisti Italiani, che le portò un bouquet di rose rosse. Scontava la sua pena nel carcere romano di Rebibbia e dopo alcuni mesi chiese di tornare negli Stati Uniti. Venne poi “perdonata” dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Una decisione che mise in crisi il rapporto fiduciario tra i due Paesi per lo scambio dei detenuti.
A Roma ci sono due giovani americani, Finnegan Lee Elder, di 24 anni e Gabriel Natale Hjort, di 22, accusati di aver ucciso a coltellate la notte del 25 luglio 2019, un brigadiere deli carabinieri, Mario Cerciello Rega. Condannati in primo grado all’ergastolo, i due hanno vista ridotta la pena in appello, prosciolti dalle accuse di omicidio. La Corte di Cassazione ha poi annullato parte della decisione e il processo si deve rifare.
Chissà se quando verranno assolti o estradati negli Stati Uniti ci sarà qualche politico americano che li andrà ad incontrare all’aeroporto per dargli il benvenuto?