Il processo dei primati: mai un ex presidente è stato sottoposto a un procedimento per un reato penale e mai un leader della maggioranza della Camera è andato in tribunale a esprimere la sua solidarietà all’imputato. E con lui un’ampia delegazione di parlamentari repubblicani.
Si è trattato di un’invasione di campo da parte della politica in un procedimento giudiziario in cui l’imputato, in questa storia di pagamenti e rivelazioni salaci in tempo di elezioni, se non fosse stato un ex presidente, probabilmente sarebbe già finito in prigione. E gli esempi sono tanti: dall’ex speaker Dennis Hastert a John Edwards, che in carcere non ci finì, ma la sua avventura, mentre la moglie era gravemente malata, fu la pietra tombale per le sue aspirazioni politiche.
D’altronde è sempre stato così: i politici con il “vizietto”, quando vengono esposti, accusano chi li ha scoperti di essere parte di congiure tramate dai loro rivali. E il processo in corso per l’ex capo della Casa Bianca non fa eccezione. Per quanto urli della giustizia corrotta, per lui il vero problema rimane sempre il denaro che è stato versato sul conto corrente della donna che avrebbe voluto rendere noto il loro breve incontro a pochi giorni dalle elezioni del 2016.
“I soldi sono passati di mano, il silenzio è stato comprato – ha commentato ieri sera l’ex governatore del New Jersey, Chris Christie. – Chi ne ha beneficiato non è chi ha portato l’assegno, ma chi ha pagato”.
Il processo Trump è in dirittura d’arrivo: i pubblici ministeri hanno detto al giudice che non hanno più testimoni da chiamare. In mattinata, Michael Cohen ha raccontato perché continuò a mentire, prima al Congresso e poi anche all’FBI che aveva perquisito la sua casa e il suo studio. Lo ha fatto “per lealtà e per proteggere” il suo boss. Dopo la perquisizione parlò con Trump che lo rassicurò. Cohen ha proseguito sulle modalità con cui mentì anche alla FEC, la commissione elettorale federale.
L’ex avvocato di Trump ha quindi testimoniato sui tentativi del suo ex capo di mantenere un canale segreto attraverso Bob Costello, legale di Rudy Giuliani, dopo l’inchiesta dell’FBI. Nominato, nel frattempo, avvocato personale, Cohen capì che Trump voleva prendere le distanze da lui. Costello gli fece presente che c’era sempre la possibilità di una grazia presidenziale. Dopo la perquisizione, i figli e la moglie lo confrontarono. “Non pensi a noi. Pensi solo ad aiutare Trump”.
I familiari accusavano Cohen di aver scelto Trump a loro, di non rispettare l’unità della famiglia. Quindi l’ex avvocato ha raccontato anche del suo dramma personale, della diffidenza che aveva visto nell’ex presidente, della paura di essere abbandonato e pagare lui il prezzo delle decisioni del suo capo. E alla fine si dichiarò colpevole e finì in prigione. Secondo le sue dichiarazioni, non ha mai incontrato Alvin Bragg, il District Attorney che il tycoon accusa di essere in combutta con Biden. Una testimonianza resa con voce pacata, che ha smontato le bellicose premesse degli avvocati di Trump.
Michael Cohen: “Mr. Trump claimed [his medical deferment] was because of a bone spur, but when I asked for medical records, he gave me none and said there was no surgery…He finished the conversation with the following comment: ‘You think I’m stupid, I wasn’t going to Vietnam.’”… pic.twitter.com/Wjfcy7DxLl
— Republicans against Trump (@RpsAgainstTrump) May 14, 2024
I legali hanno cercato, infatti, di minare la sua credibilità sostenendo che la sua testimonianza fosse animata da rancore, vendetta e sfruttamento commerciale della vicenda. Gli hanno fatto vedere la foto con una delle t-shirt che Cohen vende sul suo sito “Mea culpa”, con Trump ammanettato nella tuta arancione dei carcerati. O di una tazza con la scritta: “Mandatelo in carcere, non alla Casa Bianca”.
Nel suo lungo interrogatorio e poi nel controinterrogatorio, Cohen ha ricostruito come lavorò per Trump durante la campagna elettorale del 2016 per mettere a tacere notizie che sarebbero potute diventare negative per l’allora candidato. Ma soprattutto ha detto che il suo capo sarebbe stato a conoscenza di ogni fase della trattativa, dell’accordo e del metodo deciso per ripagare Cohen, che anticipò personalmente il denaro.
Trump ha sempre negato non solo ogni coinvolgimento, ma anche di avere avuto una relazione con Stormy Daniels.
L’avvocato di Trump per contrastare la sua narrativa ha cercato di dare enfasi alla sua falsa testimonianza resa al Congresso e alla Federal Election Commission. Ma Cohen con calma ha ribadito che non aveva detto la verità agli inquirenti federali durante l’inchiesta condotta dallo Special Prosecutor Robert Muller “solo per proteggere Trump”.
Alla fine anche lui, come Daniels aveva dichiarato concludendo la sua testimonianza, ha detto: “Sì, vorrei che Trump fosse condannato”.
È stato comunicato che la difesa lo vorrà in aula di nuovo giovedì per testimoniare.
Trump, intanto, sembra sempre meno propenso a raccontare la sua verità, dopo che più volte aveva affermato che avrebbe voluto deporre prima della fine del processo.
In mattinata, prima dell’inizio dell’udienza, la corte d’appello di New York aveva respinto l’ennesima richiesta che l’ex presidente aveva fatto contro il ‘gag order’ che limita i commenti sul processo.