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May 13, 2024
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Atto primo della testimonianza chiave di Cohen: “Pagai Stormy Daniels per Trump”

Non era solo l'avvocato del tycoon, ma il suo "fixer", colui che "gestiva" le situazioni più difficili

Massimo JausbyMassimo Jaus
Atto primo della testimonianza chiave di Cohen: “Pagai Stormy Daniels per Trump”

Michael Cohen is questioned by prosecutor Susan Hoffinger before Justice Juan Merchan as former U.S. President Donald Trump watches i,n Manhattan state court in New York City, U.S. May 13, 2024 in this courtroom sketch. REUTERS/Jane Rosenberg

Time: 4 mins read

“Le accuse di Stormy Daniels avrebbero potuto essere catastrofiche per le aspirazioni presidenziali di Trump”. Così Michael Cohen, questa mattina dal banco dei testimoni, ha raccontato la sua verità sui tanti anni in cui è stato il “fixer”, l’uomo ombra, quello che risolveva i problemi di Donald Trump e per questo nominato vicepresidente della Trump Organization e vice presidente delle finanze del Republican National Committee. Ma il suo capo lo umiliava, non gli dava lo spazio per agire, voleva essere informato su tutto e, soprattutto, era taccagno e geloso.

Un lungo tragitto, quello dell’avvocato Cohen, passato da fedelissimo assistente del bizzarro costruttore-showman televisivo e aspirante presidente a suo nemico giurato. Un radicale cambiamento di fede dopo che Trump lo ha incolpato per i pagamenti a Stormy Daniels affermando che lui non ne sapeva nulla e che se erano state fatte delle improprietà era solo colpa del suo avvocato. Accuse che hanno portato Cohen davanti alla Commissione d’inchiesta della Camera dove, ancora per difendere l’ex presidente, mentì. E da quella bugia gli inquirenti federali cominciarono a scavare sulle sue numerose attività. Alla fine venne condannato per violazione delle leggi federali sulla campagna elettorale, di cui ha beneficiato Trump, e per evasione fiscale per una società di taxi che aveva con il cognato. È finito in prigione ed è stato radiato dall’ordine degli avvocati. E da allora Cohen è diventato un nemico dichiarato dell’ex presidente.

Questa mattina l’ex avvocato ha testimoniato al processo in cui il tycoon è accusato di aver falsificato i documenti aziendali per nascondere un rimborso spese dopo che Cohen aveva anticipato i 130 mila dollari per il silenzio di Stormy Daniels. Il misfatto avvenne a pochi giorni dalle elezioni del 2016 perché le accuse dell’attrice di film porno avrebbero potuto danneggiare seriamente la possibilità di Trump di conquistare la Casa Bianca e quindi il pagamento è stato considerato come un finanziamento non dichiarato alla sua campagna elettorale.

Cohen ha detto che Trump lo volle con sé per “gestire” le circostanze difficili. Non lavorava per l’ufficio legale generale della Trump Organization, “rispondevo solo a lui”, ha detto, definendosi “l’uomo che raddrizzava le situazioni, per questo mi chiamavano pitbull”. Ma la cieca fiducia nel suo capo venne mal ripagata. Una volta entrato alla Casa Bianca, il tycoon non gli diede un ruolo nella nuova amministrazione. Lo nominò suo avvocato personale, una posizione che gli conveniva perché poteva rimanere a New York, ma non gli dava la visibilità che avrebbe voluto, mantenendo sempre il ruolo di “fixer”. Come ultimo insulto Trump gli decurtò di due-terzi il bonus che a fine anno avrebbe dovuto ricevere.

NOW: President Trump full statement outside of the courtroom. 🇺🇸 3/13/24 pic.twitter.com/GjJV8VQo83

— Bruce Snyder (@realBruceSnyder) May 13, 2024

In aula oggi l’avvocato ha raccontato di alcuni dei problemi che ha dovuto risolvere per l’ex presidente, inclusa la relazione durata più di un anno con la coglietta di Playboy, Karen McDougal, o le voci sul “figlio illegittimo”. Soldi versati sottobanco da compiacenti amici del suo “boss”, che nessuno avrebbe dovuto vedere o che, in alternativa, pagava lui stesso aprendo e chiudendo conti in banca senza che Trump fosse informato dei particolari o dovesse avere la responsabilità della firma per eludere alla possibilità che ci fossero le sue impronte digitali. “Il mio ruolo – ha detto Cohen – era quello di fare di tutto per evitare che Trump venisse coinvolto in situazioni scomode”.

Cohen ha confermato l’incontro del 2015 con Trump e David Pecker e l’accordo fatto con quest’ultimo: pubblicare storie negative sui rivali dell’allora candidato presidenziale e seppellire, invece, quelle contro di lui.

E così è stato per anni. L’avvocato ha raccontato del suo esordio con Trump. Lo ha sempre chiamato “boss” o “Mr. Trump”. Hanno sempre mantenuto le distanze. Parlavano quasi ogni giorno sia al telefono che di persona.

Durante la sua testimonianza i pubblici ministri hanno fatto sentire un audio, registrato da Cohen, in cui Trump dice che bisogna comprare anche il silenzio di Karten McDougal.

Era Cohen, in sostanza, a fare il lavoro sporco, ma su indicazione di Trump e solo lui ne traeva benefici. “Agivo sempre sulle sue indicazioni… Fu lui a chiedermi di occuparmi di Stormy Daniels. Era preoccupato per la campagna elettorale, non per Melania”.

Durante la testimonianza è saltato fuori un’altra volta il nome di Keith Schiller, la guardia del corpo di Trump che fece diverse telefonate per conto dell’allora presidente a Cohen per poi passare il cellulare al “boss”. Stormy Daniels, nella sua deposizione di giovedì scorso, aveva affermato che Schiller era la persona che l’aveva messa in contatto con il tycoon mentre erano insieme a un torneo di golf che si disputava a Lake Tahoe.

I had never seen this report in the @nytimes, quoting Keith Schiller, Trump’s Ex-Bodyguard.

He says that while he and Trump were in Moscow, five women were being offered to be sent up to Trump’s room. Schiller says it was turned down.

REALLY?https://t.co/mixBg4IowN

— Peter Briggs 🇪🇺 (@peterbriggs) May 9, 2024

Cohen ha ammesso di aver accettato di anticipare i 130 mila dollari per Stormy Daniels perché glielo aveva detto Trump. Il 17 ottobre 2016, l’avvocato di Stormy Daniels, Keith Davidson, gli aveva inviato un’e-mail per dirgli che l’accordo era “saltato” perché il pagamento non era ancora stato fatto. Cohen ha risposto che l’ex presidente gli aveva chiesto di prendere tempo perché non voleva usare i suoi soldi e Allen Weisselberg, allora amministratore della Trump Organization, ora in carcere per falsa testimonianza, si rifiutò di anticiparli.

Alla fine Cohen e Weisselberg hanno deciso che il primo avrebbe anticipato i 130 mila dollari e poi sarebbe stato rimborsato e hanno parlato con Trump del piano che ha risposto: “Non preoccuparti, riavrai i soldi”.

Cohen ha detto di aver utilizzato una linea di credito per una home equity su una società immobiliare che aveva costituito e per conto della quale aveva aperto un conto in banca perché così facendo non c’erano tracce contabili e quindi sua moglie non lo avrebbe scoperto. Venne rimborsato, ma non fu facile. Secondo i calcoli di Weisselberg i 130 mila dollari vennero raddoppiati perché avrebbe dovuto pagare il 50% di tasse. Oltre ai 260 mila dollari furono aggiunti 50 mila dollari che Cohen aveva pagato per una società, Red Finch,  che fa sondaggi e a questo fu aggiunto un bonus, ricevendo alla fine 420 mila dollari pagabili in 12 mesi “per consulenze legali”.

L’udienza è stata aggiornata a domani. Cohen continuerà la sua testimonianza.

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Massimo Jaus

Massimo Jaus

Massimo Jaus, romano e tifoso giallorosso. Negli Stati Uniti dal 1972. Giornalista professionista dal 1974. Vicedirettore del quotidiano America Oggi dal 1989 al 2014. Direttore di Radio ICN dal 2008 al 2014. È stato corrispondente da New York del Mattino di Napoli e dell’agenzia Aga. Massimo Jaus. Originally from Rome and a Giallorossi fan. In the United State since 1972. A professional journalist since 1974. Deputy Editor of the daily paper America Oggi from 1989 to 2014. Has been New York correspondent for Naples' "il Mattino" and for Agenzia Aga.

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