La Malesia prende esempio dalla Cina. Ispirandosi alla “diplomazia dei panda” di Pechino, Kuala Lumpur si è impegnata a dare in prestito i suoi oranghi ai Paesi che acquistano olio di palma, come gli Stati Uniti e l’India.
Lo ha detto il ministro delle Materie prime Johari Abdul Ghani, secondo il quale questa politica mostrerà l’impegno della Malesia verso la conservazione dei primati dal pelo lungo, trasportandoli agli zoo internazionali che ne curano la riproduzione.
I primati, originari proprio di Malesia e Indonesia, sono una specie a rischio critico a causa del disboscamento e dell’espansione agricola – provocati soprattutto dalle piantagioni di olio di palma che decimano le foreste pluviali naturali in cui vivono.
“Questo dimostrerà alla comunità globale che la Malesia è impegnata nella conservazione della biodiversità”, ha dichiarato il ministro su X. “La Malesia non può adottare un approccio difensivo sulla questione dell’olio di palma. Dobbiamo invece dimostrare ai Paesi del mondo che la Malesia è un produttore sostenibile ed è impegnata nella protezione delle foreste e nella sostenibilità ambientale”.
Non si tratta di una pratica nuova: la Cina lo ha già fatto decenni fa con i panda, contribuendo ad aumentare in modo significativo negli ultimi 30 anni la popolazione degli amatissimi animali. Pechino poi utilizza i panda anche come tattica di soft power, richiamandoli occasionalmente a casa quando le relazioni con il Paese ospitante si fanno difficili (come è accaduto recentemente con gli Stati Uniti).
Ma non tutti d’accordo con la decisione malese. Il WWF, ad esempio, sostiene che piuttosto che spedire gli oranghi fuori dal Paese sarebbe preferibile conservare la fauna selvatica in situ, magari con il contributo della comunità internazionale.
L’olio di palma è ormai una componente sempre più pervasiva della produzione industriale di cibo, venendo utilizzato in alimenti come il cioccolato e la margarina, ma anche in cosmetici e saponi. La sua coltivazione prospera nelle aree tropicali, ma la diffusione incontrollata ha portato alla distruzione di molte foreste pluviali naturali.