La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno bloccato una spedizione di bombe dirette a Israele per timore che lo Stato ebraico stesse per scatenare un’invasione su larga scala su Rafah nonostante le indicazioni contrarie di Washington.
A riferirlo è stato martedì un alto funzionario dell’amministrazione Biden, aggiungendo che la fornitura sospesa riguarda 1.800 bombe da 907 kg e 1.700 bombe da 226 kg
La Casa Bianca e il Pentagono erano particolarmente preoccupati per gli esplosivi più pesanti e per il loro possibile utilizzo in un’area densamente popolata come quella di Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza dove vivono oltre un milione di sfollati che hanno abbandonato altre aree disastrate della Striscia.
“Non vogliamo vedere una grande operazione a Rafah. Vogliamo vedere un piano, un piano completo su come Israele intende proteggere il milione e mezzo di civili che attualmente cercano rifugio a Rafah”, ha dichiarato l’addetta stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre.
Si levano critiche anche sulla chiusura “inaccettabile” del valico di Rafah con l’Egitto. Nelle scorse ore Israele ha fatto sapere che è stato riaperto il valico di Kerem Shalom verso Gaza, uno snodo chiave per l’ingresso degli aiuti umanitari, rimasto chiuso per due giorni dopo che un attacco missilistico di Hamas ha ucciso quattro soldati israeliani.
In questi giorni dovrebbero intanto essere rese note parti di una indagine condotta dal Dipartimento di Stato sull’uso che Israele sta facendo delle armi inviate dagli USA. Lo scorso febbraio Biden aveva infatti emesso un memorandum che stabiliva che ogni Paese che stesse ricevendo aiuti militari dagli Stati Uniti avrebbe dovuto fornire garanzie scritte sul rispetto del diritto internazionale e delle leggi statunitensi che regolano gli aiuti esteri. Il Dipartimento di Stato è stato allora incaricato di valutare la credibilità delle garanzie fornite da Tel Aviv e presentare un rapporto entro l’8 maggio.
Martedì sera, tuttavia, la Casa Bianca ha comunicato al Congresso che il rapporto potrebbe essere in ritardo “di qualche giorno”, anche se si sta facendo del tutto per consegnarlo entro mercoledì.
In sé e per sé il memorandum stesso non prevede azioni specifiche nel caso in cui il Dipartimento di Stato stabilisca che effettivamente Israele non è in regola. Ma è la legge sull’assistenza all’estero – la U.S. Foreign Assistance Act – che lo richiederebbe.
Le preoccupazioni della Casa Bianca si sono in parte rivelate esatte dopo che martedì le forze israeliane hanno preso il controllo del cruciale valico di frontiera di Rafah, snodo cruciale per l’arrivo di aiuti umanitari lungo il confine tra Gaza ed Egitto, conducendo “attacchi mirati” sulla parte orientale della città.
Ciononostante, le truppe di Tel Aviv hanno emesso un ordine di evacuazione per centomila palestinesi dalla città, facendo presagire quell’allargamento graduale delle operazioni che Biden ha più volte sconsigliato per motivi umanitari. L’avvertimento più recente è arrivato lunedì durante una conversazione telefonica con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che sembra tuttavia intenzionato a non prestare ascolto allo storico alleato USA e a proseguire nell’opera di “eradicazione” completa di Hamas.
Nel frattempo, l’esercito degli Stati Uniti ha comunicato di aver completato la costruzione del molo per la consegna via mare di aiuti per Gaza, ma le condizioni meteorologiche attuali rendono al momento insicuro spostare la struttura, che è composta di due parti. A piegha spiegato ieri il Pentagono. Una volta che il tempo si sarà chiarito, il molo sarà ancorato alla riva di Gaza da soldati israeliani. I piani per il molo sono stati avviati da Joe Biden a marzo per ovviare ai ritardi nelle consegne degli aiuti via terra. Il progetto ha compreso anche aiuti tramite lanci aerei.