Che succede ai negoziati su Gaza? Da giorni si rincorrono voci di un accordo sempre più vicino per la tregua, regolarmente smentite da Israele o da Hamas. Oggi, sabato 4 maggio, a quasi 6 mesi dall’inizio dell’offensiva a Gaza, e mentre a Tel Aviv si attendono nuove manifestazioni per la liberazione degli ostaggi sequestrati il 7 ottobre scorso, il quotidiano israeliano Haarez riferisce che Hamas avrebbe accettato l’ultima proposta israeliana, come caldeggiato dalla diplomazia Usa e dei paesi arabi coinvolti nei negoziati.
Secondo il quotidiano israeliano, gli Stati Uniti hanno garantito il pieno ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza, il territorio palestinese dove quasi 35mila persone sono rimaste uccise fra combattimenti e bombardamenti dal 7 ottobre. Inoltre, una volta liberati gli ostaggi nelle mani di Hamas, le forze israeliane non continueranno a combattere.
Fonti dell’esercito israeliano invece, riferisce sempre Haaretz, assicurano che “in nessun caso Israele accetterà di mettere fine ai combattimenti come parte di un accordo”, e che l’esercito dello Stato ebraico è comunque deciso a entrare a Rafah, la città nel sud della Striscia dove si ammassano un milione e mezzo di sfollati provenienti dal nord e dal centro di Gaza.
Tuttavia Hamas potrebbe accettare di portare a termine la prima fase dell’accordo – il rilascio umanitario di ostaggi – senza un impegno ufficiale da parte di Israele a porre fine in maniera conclusiva alla guerra.
I negoziati al Cairo continuano fra Egitto e Qatar e le delegazioni di Israele e Hamas in particolare sul rilascio dei prigionieri e sul concetto di “interruzione delle ostilità”. Presente anche il direttore della CIA William Burns, arrivato venerdì sera, secondo varie fonti locali. Ma secondo una fonte qatariota “ogni volta che ci avviciniamo all’accordo l’una parte o l’altra lo sabatano”.
L’urgenza per i negoziatori è evitare un attacco a Rafah, che, le Nazioni Uniti lo hanno detto molte volte, avrebbe conseguenze “catastrofiche”, più ancora di quanto accaduto finora. D’altronde la sopravvivenza politica del governo israeliano di Benjamin Netanyahu è legata al risultato dell’offensiva; dopo l’assalto del 7 ottobre, quando i miliziani di Hamas hanno sferrato un attacco senza precedenti in terra israeliana uccidendo quasi 1.200 persone e portando centinaia in ostaggio, l’esecutivo ha sempre detto che l’invasione di Gaza mirava a sbaragliare per sempre Hamas, al governo dal 2006 nella Striscia. Ritirarsi “solo” in cambio degli ostaggi ancora vivi o dei corpi di quelli morti, come chiedono le famiglie, sarebbe uno smacco.
Per Hamas invece la posta in gioco è dimostrare di uscire non sconfitta da questa sanguinosa, devastante vicenda. Per questo insiste sulla promessa del ritiro da Gaza e dello stop definitivo ai combattimenti, mentre Israele ha offerto un “cessate il fuoco di lungo periodo”. Per i dettagli del piano che cerca di mettere insieme tutto, vedere più sotto.
Nel frattempo, nella Striscia si continua a bombardare e a morire. Queste sono immagini odierne di devastazione ed edifici in macerie dopo un nuovo attacco israeliano al campo profughi di al-Maghazi, nel centro della Striscia di Gaza.
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Quali sono i dettagli della proposta su cui si tratta negli ultimi giorni? Eccoli, pubblicati mercoledì dal quotidiano libanese Al Akhbar. Non includono l’impegno israeliano a non tornare a Gaza, ma il ritorno “a una tranquillità duratura e all’applicazione di ogni misura necessaria a ottenere un cessate il fuoco”. Il piano prevede tre fasi. Nella prima, le operazioni israeliane nella Striscia saranno sospese per 40 giorni, durante cui le forze dell’IDF si ritireranno dalle zone popolare e da quelle vicine al confine israeliano, ma non dal cosiddetto corridoio Netzarim che attraverso la Striscia da nord a sud.
In questa prima fase Hamas libererà tre ostaggi ogni tre giorni, incluse soldate israeliane, e Israele al contempo libererà dalle sue carceri prigionieri palestinesi in base a una lista da stabilire congiuntamente (e qui sono prevedibili altri lunghi dibattiti).
Al settimo giorno Hamas presenterà una lista di tutti gli ostaggi vivi che non faranno parte dei primi 33 rilasciati. Nella Striscia intanto non ci sarà traffico di droni o aerei per otto/dieci ore al giorno e Israele permetterà ai palestinesi di tornare alle loro zone di residenza con libertà di circolazione in tutta la striscia e ingresso di aiuti alimentari e umanitari.
La prima fase dura 33 giorni. Al 34esimo inizia la seconda fase che durerà altri 42 giorni: Hamas continuerà a rilasciare ostaggi vivi, inclusi soldati, in cambio di prigionieri palestinesi. A questo punto le due parti dovrebbero applicare i principi che porteranno a un cessate il fuoco prolungato, incluso il ritiro dell’IDF sulla frontiera. Questi principi sono in parte ancora non chiari.
Nella terza fase, altri 42 giorni, dovrebbero essere restituiti i corpi di ostaggi deceduti. Dopo l’identificazione di questi corpi dovrebbe prendere il via un piano di riabilitazione di cinque anni in cui i palestinesi si impegneranno a non costruire strutture di tipo militare né a ricevere materiali che possano essere usati a questo scopo.