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May 3, 2024
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Le lacrime di Hope Hicks e i rimproveri del giudice Merchan a Trump

L'ex manager della campagna elettorale del 2016 ha ricordato l'atmosfera alla Casa Bianca dopo l'intervista a "Access Hollywood"

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
Le lacrime di Hope Hicks e i rimproveri del giudice Merchan a Trump

Hope Hicks - Credit: Ansa

Time: 4 mins read

C’è scappata anche la lacrimuccia alla decima udienza del processo Trump in cui l’ex presidente è stato incriminato con 34 capi di accusa.

Hope Hicks, ex manager della campagna di Donald Trump nel 2016 e poi direttrice delle comunicazioni della Casa Bianca, è stata chiamata a testimoniare per raccontare come la campagna elettorale dell’epoca sia stata travolta dalla tempesta politica a causa dell’intervista di “Access Hollywood”, fatta nel 2005 e rilanciata poche settimane prima delle elezioni, dove l’ex presidente faceva commenti volgari contro le donne, vantandosi di poterle afferrare per la vagina.

Hicks ha raccontare ai giurati l’atmosfera che regnava alla Casa Bianca e nella campagna elettorale dopo era stata riproposta la puntata del seguitissimo programma televisivo. Uno scalpore che ha spinto Mchael Cohen, allora avvocato dell’ex presidente, a pagare Stormy Daniels per nascondere le salaci accuse che avrebbero potuto mettere in pericolo la sua elezione.

Nella sua testimonianza resa alla Commissione Giustizia della Camera, Hicks ha detto di non aver mai partecipato a un incontro sull’argomento con l’ex presidente e Cohen né di avere informazioni su Stormy Daniels che non fossero quelle che aveva già letto sui giornali o sentito alla televisione.

Quando un avvocato difensore ha iniziato a chiederle del tempo trascorso alla Casa Bianca la donna ha iniziato a piangere, provocando una breve pausa in aula.

Alla ripresa dell’udienza Hicks ha detto di essere rimasta sbalordita e di essersi riunita con altri consiglieri di Trump dopo aver appreso dell’esistenza del video di “Access Hollywood” da un giornalista del Washington Post. Chiese a Cohen di cercare di scoprire se vi fosse, come molti affermavano, un’altra registrazione ancora più compromettente. Hicks ha raccontato che voleva rendersi parte attiva nella ricerca perché non voleva che la campagna elettorale ci fossero “sorprese”.

Reporter: What was it like to see Hope Hicks?

Trump: So I’m not allowed to comment on any of that as you know I’m under a gag order pic.twitter.com/eXanCEbJS4

— Acyn (@Acyn) May 3, 2024

Quattro giorni prima delle elezioni del 2016, Hicks ha ricordato di aver ricevuto la richiesta di un commento da un giornalista del Wall Street Journal per un articolo acquistato in esclusiva dal National Enquirer sulla storia dell’ex modella di Playboy, Karen McDougal, secondo cui aveva avuto una relazione con l’ex presidente anni prima. Dopo la telefonata cercò il genero di Trump, Jared Kushner, nella speranza che potesse usare i suoi contatti con Rupert Murdoch, il proprietario della società editrice del Wall Street Journal, per ritardare l’uscita dell’articolo. Kushner le rispose che probabilmente non sarebbe stato in grado di raggiungere l’editore in tempo. “Ero preoccupata che questa potesse diventare una storia enorme”.

Dopo che era uscita la notizia, Hicks aveva inviato una email a una serie di alti consiglieri dello staff, dando loro un ordine: “Negare, negare, negare”. Lei stessa al giornalista del Wall Street Journal che l’aveva chiamata, aveva detto che la storia era “totalmente non vera”.

Quando il video di “Access Hollywood” venne rilanciato, Hicks ha riferito che i dirigenti della campagna elettorale erano preoccupati riguardo a nuove possibili storie tra Trump e altre donne quando era già sposato con Melania, da cui aveva avuto il figlio Barron. Come è stato affermato alcuni giorni fa dall’editore del National Enquirer, la storia di Karen McDougal era stata acquistata con l’obiettivo di non farla mai uscire e salvare la candidatura del tycoon.

Pur non essendo più nella ristretta cerchia degli alleati di Trump, Hicks ha parlato dell’ex presidente in termini appassionati definendolo come un “molto bravo in multitasking, un grande lavoratore”.

Finora i pubblici ministeri hanno trascorso la settimana utilizzando testimonianze dettagliate su riunioni, scambi di e-mail, transazioni commerciali e conti bancari per costruire le basi del loro caso accusando Trump di un piano per influenzare illegalmente le elezioni. Stanno preparando il terreno per la testimonianza cruciale di Michael Cohen, che ha staccato l’assegno da 130 mila dollari per il suo silenzio. Lo ha fatto usando una società fantasma con un conto corrente aperto e chiuso subito dopo che il check venne incassato. Per questo fu rimborsato dalla Trump Organization, che giustificò il rimborso come “spese legali”. Un piano preparato a tavolino per cercare di non lasciare traccia del pagamento e per questo è stato chiamato nei giorni scorsi il dirigente della banca che aprì e chiuse il conto di Cohen.

La difesa di Trump cerca, invece, di creare buchi nella credibilità dei testimoni dell’accusa e per dimostrare che il tycoon stava tentando di proteggere la sua reputazione e la sua famiglia – non la sua campagna – mantenendo le donne tranquille. La difesa ha anche suggerito, durante l’interrogatorio di un avvocato che rappresentava due donne nelle trattative per il silenzio, che Trump fosse, in realtà, vittima di un’estorsione.

Ieri sera in chiusura del processo ha testimoniato un esperto per convalidare le voci di una registrazione telefonica fatta da Cohen mentre parla con Trump poco prima delle elezioni del 2016 in cui discutevano del piano per ripagare un’ex modella di Playboy che affermava di avere una relazione con il tycoon coinvolgendo il loro amico David Pecker, allora editore del National Enquirer, affinché la storia venisse acquistata e mai pubblicata. Nella registrazione, Cohen ha rivelato di aver parlato con l’allora direttore finanziario della Trump Organization, Allen Weisselberg, che è già in prigione, su “come impostare il tutto con i finanziamenti”. E si sente Trump rispondere: “Cosa dobbiamo pagare per questo? Una e cinquanta?”

Prima dell’udienza, l’ex presidente si è lanciato in un alto affondo contro il giudice Merchan accusandolo di permettere “il più possibile i dettagli piccanti” che non hanno nulla a che vedere con il procedimento. “Questo giudice, massimamente corrotto e disturbato, Juan Merchan, sta facendo di tutto per mettere al centro del processo il più possibile dettagli piccanti, anche se questi non hanno niente a che vedere con questo falso precedimento”, ha scritto su Truth Social Trump, che ha poi ribadito il concetto prima di entrare in aula.

Il giudice Merchan, prima di avviare la fase dibattimentale, ha detto direttamente a Trump, non ai suoi avvocati, che “i limiti imposti ai commenti extragiudiziali non prevengono la sua testimonianza” al processo dopo che l’ex presidente lo aveva accusato di non poter testimoniare perché il giudice non glielo aveva permesso con la “gag order”.

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Marco Giustiniani

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