“Tutta questa vicenda è stata gestita malissimo da una Università terrorizzata dall’idea di perdere fondi, che ha abdicato al suo ruolo di centro di dibattito e conoscenza. La mancanza di sicurezza alla Columbia oggi non viene certo dagli studenti, e se ci sono degli infiltrati, vengono dalla destra che vuole limitare quello che si può dire e insegnare nelle università”. Nara Milanich è furiosa. Docente ordinaria al Barnard College della Columbia University, specializzata in America latina e storia sociale comparata, autrice di numerosi saggi, di famiglia ebrea, mi parla da casa sua; il campus è ancora chiuso dopo lo sgombero forzato degli studenti pro Palestina e del loro accampamento.
Ma cosa è successo davvero martedì sera?
“Siamo ancora sotto shock: niente di simile era mai accaduto. Abbiamo seguito l’irruzione della polizia attraverso la radio degli studenti della Columbia, che ha fatto un lavoro straordinario per informare il mondo: il campus era chiuso a tutti, ai docenti, agli studenti, alla stampa, non c’erano osservatori imparziali. Tutto il quartiere era in lockdown: un’ora prima avevo incontrato i blocchi del traffico nove isolati più in su, già alla 125esima strada. Poi è arrivato un esercito di poliziotti in assetto antisommossa: centinaia di agenti e alcuni appartenenti a una unità antiterrorismo. Tutto per sgomberare poche decine di studenti da un palazzo, la Hamilton Hall, che è un simbolo della resistenza studentesca fin dagli anni Sessanta”.

Che storia ha?
“Fu qui che – pensi che coincidenza – proprio il 30 aprile del 1968 furono sgomberati gli studenti che protestavano contro la guerra in Vietnam. Poi l’hanno chiamato “Mandela Hall” all’epoca delle proteste contro l’apartheid sudafricano. Adesso lo hanno ribattezzato “Hind’s Hall” dal nome di una bambina morta a Gaza…”
Il sindaco Eric Adams ha parlato di “infiltrati” fra gli studenti.
“Ma dire che questi ragazzi fossero gestiti da fuori è un’idiozia paternalista. Sono idealisti? Si, certo: hanno 19 anni. Ma sono intelligenti e colti. È una storia vecchia: di ogni movimento di protesta si dice che è pieno di infiltrati. Già due settimane fa c’era stata un’operazione di polizia che aveva portato via più di 100 studenti che avevano creato un primo accampamento del tutto pacifico. Io le liste degli arrestati le ho viste, c’erano studenti miei e di miei colleghi, non esterni al campus. Poi, è nato un nuovo accampamento e il campus è stato invaso da una serie di personaggi di destra. Lo speaker della Camera Mike Johnson che è arrivato con centinaia di poliziotti. La repubblicana Virginia Foxx, presidente della Commissione Istruzione della Camera. E lo stesso giorno di Johnson, Gavin McInnes, commentatore di estrema destra, fondatore dei Proud Boys: qualcuno evidentemente gli ha dato il permesso di entrare. Persone che hanno rapporti con i suprematisti bianchi, ma all’improvviso scoprono i pericoli dell’antisemitismo”.
Insomma sarebbe strumentale.
“Penso che sia un cavallo di Troia che sfrutta le proteste, un modo per intervenire nelle università da parte di persone che non ne condividono i valori, cioè lo spirito di ricerca, di dibattito, di quello che si può insegnare e persino dire. In Florida, da anni il governatore De Santis e la destra cercano di controllare quello che si insegna nelle università. Per esempio, la sociologia non può più far parte delle materie fondamentali per il curriculum perché sarebbe infettata dallo spirito woke. Ora, se un’irruzione della polizia come quella di martedì può avvenire in una città che in teoria è progressista, con un governatore e un sindaco democratico, c’è da avere i brividi a pensare cosa potrebbe succedere con Donald Trump alla Casa Bianca”.
Ma l’antisemitismo nelle università prolifera o no?
“Guardi: l’antisemitismo c’è qui come dappertutto, come il razzismo in varie forme e l’islamofobia. Ma è un mito totale, una pura calunnia che il movimento alla Columbia fosse formato principalmente da studenti antisemiti. Nell’accampamento si è anche celebrato il Seder: un certo numero degli studenti arrestati sia ieri che due settimane fa sono ebrei. Il problema è che per alcuni ,qualunque discorso antiisraeliano o filo palestinese diventa automaticamente antisemita. Ma anche essere ebrei non significa necessariamente essere filoisraeliani. Abbiamo moltissimi studenti e insegnanti ebrei con tantissime opinioni diverse, mentre qui si cerca di appiattire tutto. I dibattiti più appassionati, più interessanti e fruttuosi di questo semestre sono avvenuti all’interno dell’accampamento”.
Come si torna adesso a lavorare?
“I vertici dell’università di fatto hanno infiammato la situazione facendo passare una protesta pacifica per un pericoloso movimento sovversivo. La presidente, Minouche Shafik, ha abdicato al suo ruolo quando ha accettato il 17 aprile che una commissione del Congresso a maggioranza repubblicana le dettasse la linea. Lei, però, non è mai venuta a parlare con gli studenti dell’accampamento, non ci ha messo piede: le sarebbe bastato fare pochi metri per vedere di persona la situazione. Adesso intorno alla Columbia si aggira di tutto: estremisti filo palestinesi, ebrei hassidici anti sionisti, nazionalisti bianchi diventati filo israeliani, una pletora di proteste di tutti i colori che aumenta il clima esplosivo. E se oggi qualcosa rende insicura l’università, è la presenza della polizia. Né studenti né insegnanti possono entrare nel main campus a meno che non ci dormano. Dentro e fuori vanno solo poliziotti. Sembra il Cile degli anni Settanta”.
I vertici universitari hanno avuto paura, alla Columbia e altrove?
“Certo, hanno paura dei processi, di quelle che voi chiamate “querele temerarie”, denunce di antisemitismo fondate sul nulla, e temono di perdere fondi per aver creato ambienti sfavorevoli o persecutori. Ma l’università ha fallito miseramente nel suo compito, l’obbligo legale di creare un libero spazio di discussione, ed è stato terribile vedere anche i politici democratici accodarsi a queste accuse”.