Sono state le forze di sicurezza iraniane a uccidere Nika Shakarami.
Questo è quanto emerge da un documento “altamente confidenziale” rivelato dalla BBC, in cui si ripercorre l’atrocità di quanto accaduto alla sedicenne scomparsa durante una protesta anti-regime nel settembre 2022, compresi i nomi dei tre assassini e di quanti, ai vertici, hanno occultato la verità.
In principio il governo iraniano aveva parlato di suicido ma la famiglia di Nika sapeva che si trattava di tutt’altra storia, sapeva di dover indagare e portare a galla i dettagli della tragica vicenda. Una storia nuda e cruda che vede come protagonista una giovanissima ragazza intenta a combattere per i propri ideali e che per questo paga con la propria vita: una volta portata su un furgone di sicurezza, uno degli uomini si siede su di lei e inizia a molestarla. Lei prova a divincolarsi, ma i manganelli neutralizzano ogni tentativo di difesa.
Circa una settimana dopo, la famiglia rinviene il corpo privo di vita in obitorio.
Nika non era un nome nuovo per il governo iraniano: l’interesse era già nato il 20 settembre, pochi giorni prima di scomparire, quando un video la riprende nel centro di Teheran, vicino al Laleh Park, in piedi su di un cassonetto intenta a bruciare l’hijab, mentre un coro di persone al suo fianco grida all’unisono “Morte al dittatore”, con espliciti riferimenti all’Ayatollah Ali Khamenei. Un atto provocatorio partito dall’ingiusta quanto violenta fine di Mahsa Amini (arrestata il 13 settembre 2022 per aver indossato “male” il velo, dunque uccisa mentre era in custodia della polizia) e che le è valso l’attenzione da parte del “Team 12” delle forze dell’ordine, da quel momento alle sue costole con l’accusa di ribelle a capo della protesta.
Un destino simile per iniquità e brutalità tocca anche al famoso rapper iraniano Toomaj Salehi, noto al pubblico semplicemente come Toomaj, in carcere dal 2021 per aver fatto dei testi delle proprie canzoni “Propaganda contro il regime e insulti alla suprema autorità religiosa dell’Iran”. Il cantante si era infatti distinto per aver supportato, tramite la propria arte, il movimento iraniano “Women, Life, Freedom” (slogan originato all’interno delle associazioni curde guidate dalle donne) e per questo era finito in carcere per un intero anno, di cui grande parte in isolamento.
La Corte Suprema decide infine di rilasciarlo nel novembre 2023 ma un video di denuncia delle torture subite lo riporta dietro le sbarre. E ora si parla di condanna a morte da parte del tribunale rivoluzionario Isfahan, per “corruzione sulla terra”.
In risposta a tale affronto, in Europa, negli Stati Uniti e in Canada intere folle di attivisti si sono riunite per gridare allo scandalo, definendo l’accaduto come “il culmine di gravi violazioni dei diritti umani in Iran”. Per tale ragione, il canadese Kaven Shahrooz ribadisce l’importanza di scendere in piazza e farsi sentire: “Il suo talento, la sua empatia e coscienza sociale sono difficili da negare così come il suo coraggio è incredibile oltre che contagioso”.