Le agenzie di intelligence statunitensi hanno stabilito che, molto probabilmente, Vladimir Putin non ha ordinato direttamente l’uccisione di Alexey Navalny, il più noto degli oppositori dello “zar”, avvenuta nel campo di prigionia IK-3 di Charp, lo scorso febbraio.
La valutazione delle spie statunitensi non mette in dubbio la colpevolezza di Putin per la morte di Navalny, ma ritiene piuttosto che il presidente non l’abbia ordinata in quel preciso momento. La conclusione è stata ampiamente accettata all’interno della comunità di intelligence e condivisa da diverse agenzie, tra cui la CIA, l’Office of the Director of National Intelligence e l’unità di intelligence del Dipartimento di Stato.
Alcune agenzie europee sono state informate del parere degli Stati Uniti. Diversi paesi rimangono scettici sul fatto che Putin non abbia avuto un ruolo di primo piano nella morte di Navalny. Secondo molti funzionari del vecchio continente, in un sistema così strettamente controllato come quello della Russia, è improbabile che Navalny possa essere stato messo definitivamente a tacere senza che il presidente venisse preventivamente informato.

Subito dopo la morte del dissidente russo, era stato proprio lo stesso presidente americano, Joe Biden, a dichiarare al mondo: “Non commettete errori. Putin è responsabile della morte di Navalny”. Eppure, ora gli USA ed i suoi agenti segreti credono che la tempistica con la quale è avvenuta l’uccisione del quarantasettenne non è stata determinata dallo zar.
Una versione dei fatti che proprio non convince gli alleati di Navalny, sicuri che la fine del dissidente russo sia stata decretata dal Cremlino. “Chi afferma che Putin non era al corrente di quanto stava accadendo chiaramente non capisce nulla di come funziona la Russia di oggi”, ha dichiarato Leonid Volkov, persona molto vicina all’oppositore del presidente russo, “questa idea è semplicemente ridicola”.
La valutazione degli Stati Uniti si basa su una serie di informazioni segrete e su un’analisi dei fatti pubblici, tra cui la tempistica della morte del prigioniero e il modo in cui ha messo in ombra la rielezione di Putin. Navalny era l’ultimo esponente dell’opposizione in Russia con un peso politico sufficiente per essere considerato un possibile leader. La sua morte sembrava segnare il culmine di una lunga campagna messa in atto dal Cremlino per uccidere o costringere all’esilio ogni possibile alternativa a Putin.

Il servizio carcerario russo ha dichiarato il 16 febbraio che Navalny aveva perso i sensi dopo una camminata nella colonia penale dove era detenuto.
Appena una settimana prima della sua morte, Biden e il cancelliere tedesco Olaf Scholz avevano discusso circa una potenziale proposta di scambio di prigionieri che avrebbe potuto liberare Navalny, insieme agli americani detenuti in Russia. Tra questi, il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich ed un ex marine, Paul Whelan.