Un gruppo internazionale di ricerca ha studiato il DNA di Balto, l’eroico cane che fu la stella di una spedizione in Alaska chiamata “corsa al siero”, il cui obiettivo fu quello di portare medicine salvavita fin nella remota città di Nome, minacciata dalla difterite. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Science.
La missione, nel 1925, si svolse in condizioni orribili di bufera, lungo 900 chilometri, e fu portata a compimento da varie squadre di cani da slitta che fecero una staffetta per trasportare l’antitossina da Anchorage a Nome.
Balto, la cui statua commemorativa si trova oggi al Central Park di New York, fu alla testa dell’ultima squadra, che percorse gli ultimi 60 chilometri. Lo studio del suo DNA fa parte di uno sforzo internazionale denominato Zoonomia Project, dedicato allo studio del genoma di 240 specie di mammiferi.

L’analisi di Balto è stato reso possibile dal fatto che è stato imbalsamato e conservato al museo di Cleveland. Il suo DNA ha rivelato che rispetto alle razze di cani moderne Balto presentava un minor numero di mutazioni genetiche potenzialmente pericolose, il che suggerisce che era più sano, e che il suo peso, le articolazioni, il manto, lo spessore della pelle erano ideali “come ci si aspetterebbe da un cane allevato per correre in quell’ambiente”, spiega il saggio pubblicato sulla rivista Science.
Secondo gli autori dello studio, Balto apparteneva a una popolazione di cani da slitta piccoli e veloci importati dalla Siberia. “Sequenziando il suo genoma e analizzando i dati mostriamo che Balto e i suoi contemporanei cani da slitta erano geneticamente diversi delle razze moderne e potrebbero aver portato varianti che li hanno aiutati a sopravvivere alle dure condizioni dell’Alaska degli anni ’20”, affermano gli studiosi.
Anche se Balto appartiene al passato, la genomica comparativa del suo DNA con quello di altre razze canine, serve a raccogliere dati importanti sui differenti genomi di epoche passate e moderne che possono fornire approfondimenti sulle modalità genetiche e le eventuali mutazioni che li hanno plasmati. Ciò permette di comprendere meglio la natura e la biologia dei cani odierni anche in rapporto all’ambiente in cui vivono.