È il secondo 25 aprile in Italia con Giorgia Meloni premier, e fra le polemiche sulla parola “antifascismo” che la presidente del Consiglio non riesce a dire, e le tensioni intorno al conflitto di Gaza, da molti anni non si discuteva tanto attorno alla festa della Liberazione dal nazifascismo – in ricordo di quel 25 aprile del 1945 scelto a simbolo perché tedeschi e soldati della Repubblica di Salò cominciarono la ritirata anche da Milano e Torino.
Meloni è andata come atto di rito all’Altare della Patria a Roma di mattina presto assieme ai presidenti di Camera e Senato, a diversi ministri del suo governo e naturalmente al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma mentre l’instancabile Capo dello Stato si è poi diretto in Val di Chiana per un’altra occasione commemorativa, gli impegni pubblici della leader del governo si sono fermati qui, con una foto su Instagram e un post in cui condanna, come sempre, tutti i regimi totalitari del mondo ma senza fare riferimento specifico a quello che governò l’Italia nel Ventennio. “Nel giorno in cui l’Italia celebra la Liberazione, che con la fine del fascismo pose le basi per il ritorno della democrazia, ribadiamo la nostra avversione a tutti i regimi totalitari e autoritari. Quelli di ieri, che hanno oppresso i popoli in Europa e nel mondo, e quelli di oggi, che siamo determinati a contrastare con impegno e coraggio. Viva la libertà!”
Il suo vicepremier, il leader della Lega Matteo Salvini, invece è andato al Sacrario dei Caduti milanesi per la Patria; anche lui assediato dai giornalisti sul tema del giorno, è stato appena più esplicito. “È un governo antifascista? È un governo scelto dai cittadini. Poi l’antifascismo sì, mi sembra evidente. Ma poi, qualcuno ha nostalgia del fascismo? No, spero di no” ha detto.
Le manifestazioni in Italia sono tante. Spicca, a Milano nel pomeriggio, il corteo nazionale con vari leader politici di sinistra e centro, oltre allo scrittore Antonio Scurati al centro dell’attenzione per il monologo antifascista censurato dalla Rai alla vigilia della festa (un vero boomerang: è stato pronunciato, ripubblicato, riletto in ogni possibile sede), in cui chiedeva al governo di Fratelli d’Italia una posizione netta per allontanarsi dalle radici mussoliniane del partito.
A Roma già nella mattinata sono volate parole, non al corteo ufficiale dell’Associazione Nazionale Partigiani (ANPI), ma al concentramento dei cosiddetti “movimenti di base” intorno alla Piramide Cestia, zona Ostiense. “Ora e sempre resistenza” hanno scandito alcune centinaia di attivisti Pro Palestina davanti allo schieramento di agenti di polizia in assetto anti sommossa che li mantenevano a distanza da quelli della “Brigata ebraica” che cantando l’inno d’Italia e alternando offese e parolacce provavano a passare urlando “Israel, Israel”.
Ed è qui che il 25 aprile antifascista si intreccia al conflitto a Gaza. Per i movimenti filopalestinesi, questa festa della Libertà è stata un’altra occasione per chiedere la fine dell’offensiva israeliana e per attaccare il governo Netanyahu tacciato di essere il nuovo nazismo. Per la comunità ebraica, e per la Brigata Ebraica, questi sono insopportabili insulti che dimostrano l’antisemitismo di certi movimenti di sinistra.
Così il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, ha rilasciato un durissimo comunicato che fa eco alle polemiche e alle accuse che circolano da mesi: “La nostra comunità è sottoposta a provocazioni continue se non a veri e propri atti di violenza (…), veniamo additati come colpevoli di tutto quello che succede, con un ritorno a toni e accenti che ricordano un antisemitismo che evidentemente non è mai finito. Viviamo sotto protezione, cercando di continuare a fare una vita normale. E anche oggi abbiamo dovuto manifestare “sotto scorta”, solo per ricordare l’eccezionale tributo di testimonianza e militanza contro il nazifascismo che diedero gli ebrei ottant’anni fa (…) Invito tutti alla calma, seguendo i nostri valori morali che sono quelli della democrazia, soprattutto oggi, e ad avere fiducia nelle istituzioni e nella professionalità delle forze dell’ordine.”
Gli stessi toni, le stesse polemiche che infuriano nei campus universitari statunitensi e alla Columbia University, e che in Italia si agglutinano attorno al concetto di “antifascismo”. Del resto le protesta anti Israele ci sono anche nelle università israeliane. Di questo stava parlando, il 24 aprile, un giornalista Rai di provata esperienza e grande equilibrio, Giorgio Zanchini, da molti anni alla guida della trasmissione mattutina “Radio Anch’Io”, approfondimento quotidiano dell’attualità. Zanchini è incorso in un incidente: ha chiesto a un’ospite, la parlamentare di Fratelli d’Italia Ester Mieli, “Senatrice, lei è ebrea?”. Domanda verosimilmente retorica che voleva invitare l’ospite a esprimersi non solo come senatrice ma come rappresentante della comunità (quale, orgogliosamente, è). “Sì, sono ebrea. Ma lei lo chiede a tutti?” ha replicato Mieli. Si è scatenata una vera bufera con Zanchini costretto a giustificarsi: “Non sono antisemita”.
Così la polarizzazione delle opinioni si cementa attorno a questo 25 aprile che dovrebbe essere la festa di tutti i sinceri democratici, in un mischione spesso strumentale. Come da modalità social network, pare obbligatorio schierarsi di qua o di là: non c’è terreno di mezzo, non c’è possibilità di analisi che regga.