Animali e piante sono allo stremo sulla Terra morente.
Ecosistemi stravolti e animali costretti a vivere in spazi dalle temperature in costante aumento non sono che l’apice di un mondo in declino: incapace di stare al passo con gli esseri viventi che ospita e, soprattutto, non più in grado di garantire loro la sopravvivenza.
Per questo gli scienziati si stanno impegnando per costruire un’alternativa valida e concreta: il biorepository lunare, ovvero uno stabilimento deputato alla conservazione di cellule vegetali ed animali a lungo termine. Il tutto sulla Luna. Ma perché proprio la Luna?
Mary Hagedorn, biologa marina americana specializzata in fisiologia, nonché ricercatrice senior presso the Smithsonian’s National Zoo e al Conservation Biology Institute, ha fornito una risposta essenziale in merito “Non esiste un posto sulla Terra abbastanza freddo per farlo”.
Dopo aver speso vent’anni a studiare crioconservazione (una tecnica di conservazione di qualunque materiale biologico, vegetale o animale che sia, attraverso temperature molto al di sotto del punto di congelamento) per preservare la barriera corallina di cui si stima l’estinzione entro il 2035, ha deciso di espandere il progetto a qualunque specie vivente in pericolo di estinzione.
L’idea si è consolidata nella sua testa anche grazie all’incontro con il progetto Svalbard Global Seed Vault, una banca dei semi norvegese nata per assicurare le basi del nostro approvvigionamento alimentare in futuro. Il loro modus operandi consiste nel mantenere i semi a temperature sotto 0 gradi Fahrenheit sfruttando le naturali temperature del permafrost.
Hagedorn ha quindi coniato il metodo e lo ha applicato su larga scala, partendo da una solida base di personale conoscenza dell’argomento “Svalbard ha fatto un gran bel lavoro a dire “Ok, abbiamo bisogno di preservare i semi. Tutto sulla Terra dipende dai semi. E come possiamo farlo?””.
Se il team norvegese ha trovato il modo e lo spazio per poter operare a Longyearbyen, nell’isola di Spitsbergen, la ricercatrice americana ha trasposto la tecnica di crioconservazione direttamente sulla superficie lunare pensando alla condizione precaria in cui vivono attualmente gli elefanti africani, le api, i pipistrelli, le tartarughe marine verdi ed ogni altro essere vivente in difficoltà. La Luna presenta infatti temperature vertiginosamente fredde, specie ai poli, con picchi fino a -320 gradi Fahrenheit.
Tale condizione è il prerequisito per garantire il processo di conservazione delle cellule della pelle degli animali, un’azione rivoluzionare perché permetterebbe la clonazione degli animali stessi in laboratorio.
La complessità dell’operazione cresce tuttavia con l’aumentare della taglia e del contenuto adiposo dei tessuti: mentre lo sperma è più semplice da crioconservare, le uova, ad esempio, diventano più difficili da gestire poiché particolarmente grasse. Un ostacolo emerso nel 2018, quando Hagedorn e colleghi si sono cimentati nella conservazione di larve: per ovviare al problema, è quindi stato elaborato un metodo più semplice per cui questa viene disidratata sopra ad una rete di acciaio, quindi immersa in un crioprotettore e, solo infine, immersa in liquido di azoto. A questo punto si può procedere con la reidratazione della stessa, a temperatura ambiente.
Significativi anche i passi avanti che sono stati fatti nella conservazione dei coralli sebbene, avverte Hagedorn, sia necessario agire il prima possibile “Quando la loro salute è ancora intatta”.
Il successo di questi esperimenti lascia presagire che la tecnica non solo avrà successo ma che sarà anche l’arma contro la perdita di biodiversità sul nostro pianeta.