Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si appresta a votare una bozza di risoluzione che concede alla Palestina lo status di membro a pieno titolo dell’ONU, invece dell’attuale status di osservatore. Per passare, la risoluzione ha bisogno di nove voti e dell’approvazione della maggioranza dell’Assemblea Generale.
L’amministrazione Biden vorrebbe impedire il voto, per evitare di porre un veto che potrebbe scatenare nuove critiche internazionali per il suo appoggio a Israele. Pur essendo favorevole al riconoscimento della Palestina, la Casa Bianca preferirebbe infatti un accordo regionale che includa un piano di ricostruzione e normalizzazione postbellica e la normalizzazione completa tra Israele e l’Arabia Saudita.
La politica di Netanyahu crea sempre maggiori difficoltà all’amministrazione Biden, che si barcamena malamente fra la necessità di sostenere l’alleato e quella di frenare la sua aggressività, in particolare nella Striscia di Gaza dove il conflitto fra Israele e Hamas ha ormai ucciso oltre 33.000 persone dal 7 ottobre, quando gli estremisti al governo nella Striscia hanno lanciato un’aggressione in territorio israeliano con 1.200 morti e centinaia di ostaggi.
Il movimento diplomatico a New York all’Onu avviene mentre diversi ministri degli Esteri occidentali, da Antony Blinken al britannico David Cameron alla tedesca Annalena Baerbock, si sono alternati a Gerusalemme tentando di convincere il premier israeliano Benjamin Netanyahu a non scatenare una rappresaglia contro l’Iran, che lo scorso weekend ha lanciato verso israele oltre 300 missili e drone. Una azione annunciata che ha dato tempo a Israele e agli alleati di preparare la contraerea e ha provocato scarsi danni. David Cameron – prima di partire per il G7 esteri in svolgimento a Capri – ha dichiarato alla BBC che Israele certamente reagirà “ma speriamo che lo faccia in modo da provocare meno danni possibile”. Il gabinetto di guerra israeliano si è riunito varie volte per decidere cosa fare (le opzioni vanno da un attacco diretto a un obbiettivo simbolico in Iran a un cyberattacco a un omicidio mirato).
La rappresaglia iraniana era stata a sua volta provocata dall’attacco israeliano sul complesso dell’ambasciata iraniana in Siria che aveva ucciso diversi alti ufficiali, un atto di aggressione diretta. Intanto Netanyahu ha fatto sapere che non considera quell’attacco “una provocazione” e per questo aveva avvertito gli Stati Uniti solo pochi minuti prima.