Fermare l’escalation in tempo per evitare che dalle rappresaglie si passi a un vero e proprio conflitto generalizzato. A 24 ore dal lancio di centinaia di droni e missili iraniani verso Israele, l’imperativo delle diplomazie internazionali è ora quello di spegnere il fuoco che rischia di incendiare il Medio Oriente.
Nel pomeriggio di domenica i leader del G-7 hanno adottato una dichiarazione congiunta che “condanna fermamente il lancio di droni e missili dall’Iran, ribadendo pieno sostegno alla sicurezza di Israele“, come recita il comunicato della presidenza italiana del gruppo dei Sette.
“Al termine della discussione – viene aggiunto -, i G-7 hanno sottolineato l’esigenza di evitare un’ulteriore escalation, invitando le parti ad astenersi da azioni volte ad acuire la tensione nella regione”. E proprio per “evitare un’ulteriore escalation” nella regione, i leader dei Sette “hanno rivolto un appello per porre fine alla crisi a Gaza attraverso la cessazione delle ostilità e il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas”, garantendo inoltre la prosecuzione dell’aiuto umanitario verso la popolazione palestinese”
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva precedentemente assicurato in un discorso TV che Tel Aviv era “pronta a ogni scenario, anche quello di un attacco diretto”. Ringraziando gli Stati Uniti e il Regno Unito per l’appoggio, Bibi aveva aggiunto che lo Stato ebraico “farà male a chi ci fa male, ci difenderemo contro ogni minaccia”.
Dichiarazioni solo in parte ricalibrate qualche ora dopo dal ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz. “Costruiremo una coalizione regionale contro la minaccia dell’Iran ed esigeremo un prezzo nel modo e nel momento che ci conviene“.
Dal canto suo, il regime degli ayatollah ha presentato un comunicato all’Onu in cui tenta di disinnescare l’escalation, specificando che, dopo il raid della scorsa notte, per Teheran “la questione è chiusa”.
“L’azione militare iraniana, condotta sulla base dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite relativo alla legittima difesa, è stata la risposta all’aggressione del regime sionista contro la nostra sede diplomatica a Damasco. La questione può considerarsi conclusa. Tuttavia, se il regime israeliano dovesse commettere un altro errore, la risposta dell’Iran sarà molto più severa. Si tratta di un conflitto tra l’Iran e il regime canaglia israeliano, dal quale gli Stati Uniti devono stare alla larga”, si legge nel comunicato.
Il regime degli ayatollah fa riferimento al raid dell’IDF che ha ucciso il generale delle Guardie Rivoluzionarie Mohammad Reza Zahedi a Damasco, la scorsa settimana, all’interno del consolato iraniano. Washington aveva preso le distanze dall’attacco, pur avendo il Pentagono assicurato lo Stato ebraico di “poter contare sul pieno sostegno degli Stati Uniti per difendersi dagli attacchi iraniani”.
Centinaia di missili sono partiti nella notte tra sabato e domenica dal paese degli ayatollah verso lo Stato ebraico, in quello che è il primo attacco diretto di Teheran contro il territorio israeliano.
I cieli del Medio Oriente sono stati illuminati da oltre 170 droni, più di 30 missili da crociera e più di 120 missili balistici. L’Iron Dome, il formidabile sistema di difesa aerea israeliano, è riuscito ad abbatterne molti – quasi il 99%. Ma è stata la presenza difensiva degli americani, anche col supporto delle navi da guerra, a creare il maggior scudo anti missile per lo Stato ebraico. Circa due ore dopo il lancio, le forze USA avevano già abbattuto i primi droni, mentre Israele li stava piuttosto intercettando nei cieli di Siria e Giordania. Alle operazioni di difesa avrebbero inoltre collaborato anche l’Arabia Saudita e la Giordania, oltre ai jet britannici.
Dopo il lancio dei primi droni, Teheran ha rafforzato l’attacco con una serie di missili cruise, molto più veloci dei droni – anche questi però in larghissima misura contrastati con successo. Un frammento di un missile intercettore però avrebbe ferito gravemente una bambina israeliana di dieci anni, che rimane attualmente in condizioni critiche.
Da giorni l’intelligence USA avvertiva di un attacco imminente e gli Stati Uniti avevano spostato le navi da guerra in posizione per proteggere non solo Israele ma anche le proprie forze in Medio Oriente. Gli USA si aspettavano che l’Iran effettuasse “attacchi contro molteplici obiettivi all’interno di Israele” e che nell’operazione “potessero essere coinvolti alleati di Teheran” secondo fonti Usa.
Venerdì in Israele era arrivato anche il generale Usa Michael Erik Kurilla, comandante militare statunitense per il Medio Oriente. Sulla vicenda mercoledì il presidente Joe Biden aveva avvertito Teheran che Washington comunque non sarebbe stata a guardare: “Il nostro impegno per la sicurezza di Israele è un impegno di ferro”.
Giovedì il Dipartimento di Stato USA aveva inoltre avvertito i connazionali in Israele di non viaggiare al di fuori delle grandi città, ritenute meglio protette dal sistema di difesa anti-missilistica Iron Dome: un sistema d’arma mobile per intercettare minacce a corto raggio, da 4 a 70 chilometri. Lo stesso Netanyahu e la sua famiglia si sono trasferiti nella casa di Simon Falic a Gerusalemme che dispone di un bunker fortificato. Falic è un miliardario statunitense, finanziatore del partito repubblicano e proprietario di Duty Free America.
Ieri, inoltre, poche ore prima del lancio droni contro Israele, una nave legata a Israele è stata catturata dalle Guardie della Rivoluzione iraniane nello stretto di Hormuz, 50 miglia nautiche dalla costa degli Emirati Arabi Uniti. La nave container MSC Aries, battente bandiera portoghese, è stata sequestrata da commando calatisi dagli elicotteri. La nave è associata alla compagnia navigatrice di Londra Zodiac Maritime, a sua volta parte del gruppo Zodiac nel miliardario israeliano Eyal Ofer.