Decine di migliaia di israeliani sono scesi in piazza lo scorso fine settimana nelle principali città dello Stato ebraico per chiedere le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu.
Sabato e domenica cortei di dimostranti hanno invaso Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Be’er Sheva, Cesarea e altre città. Tra di loro c’erano anche le famiglie dei circa 130 ostaggi rapiti da Hamas lo scorso 7 ottobre, la cui liberazione è avvertita come la priorità assoluta dall’opinione pubblica – che però al contempo ritiene la coalizione di governo ultra-ortodossa capitanata da ‘Bibi’ come un ostacolo.
I parenti dei prigionieri hanno perciò invitato i ministri, in particolare Benny Gantz – avversario politico di Netanyahu e ministro del gabinetto militare – a persuadere la Knesset per esautorare il leader di Likud, che a loro dire starebbe deliberatamente minando i tentativi di ottenere il rilascio dei loro cari.
“Se le famiglie sapessero quanto è piccolo il divario che Netanyahu si rifiuta di colmare nei negoziati con Hamas, esploderebbero”, ha detto Amos Malka, ex capo della direzione dell’intelligence militare dell’esercito israeliano, che era tra gli oratori della manifestazione di sabato a Tel Aviv.
In alcuni casi, per contenere l’impeto della folla, la polizia ha fatto ricorso a cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti, oltre ad aver arrestato una ventina di persone.
Ma non è solo il capitolo ostaggi ad impensierire Netanyahu. A Gerusalemme è infatti andata in scena una protesta parallela, con centinaia di riservisti che domenica hanno occupato il quartiere ebraico di Mea Shearim, a Gerusalemme, per chiedere l’arruolamento dei giovani ultra-ortodossi nelle Forze di Difesa israeliane.
Da tempo infatti le autorità di Tel Aviv esentano i cosiddetti “Haredì”, una setta ebraica iper-conservatrice, dal prestare servizio nell’esercito. Lunedì scorso la Corte Suprema israeliana ha tuttavia fissato una scadenza per eliminare l’esenzione degli ultraortodossi, creando una frattura nella coalizione di governo che include anche partiti religiosi. La Corte ha poi ingiunto la fine dei sussidi governativi a partire da lunedì per molti ultraortodossi che studiano la Torah nelle scuole religiose invece di servire nell’esercito.
Nelle stesse ore, Al-Qahera, un canale televisivo egiziano vicino agli 007 del Cairo, ha riportato che i colloqui tra Israele e Hamas per un cessate il fuoco sarebbero ripresi nella capitale egiziana. Domenica, tuttavia, un funzionario di Hamas ha informato l’agenzia di stampa Reuters che la milizia palestinese non avrebbe partecipato ai colloqui in mancanza di informazioni sulla proposta israeliana.
Dallo scoppio della guerra, provocata dalla serie di attentati compiuti da Hamas e gruppi associati lo scorso 7 ottobre, sarebbero stati uccisi almeno 32.782 palestinesi, secondo quanto dichiarato domenica dal ministero della Sanità di Gaza (che fa capo ad Hamas).