Tam yol ileri. “Avanti a tutta velocità”. Da settimane lo slogan elettorale del sindaco repubblicano Ekrem İmamoğlu svetta su una miriade di luoghi-simbolo di Istanbul – dal quartiere bohémien di Kadıköy, sul lato asiatico, ai grattacieli commerciali di Levent, nella porzione europea.
“Abbiamo realizzato in 5 anni quello che non era stato fatto nei passati 25. Nei prossimi 5 saremo avanti di 50 anni”, ripete nei suoi comizi l’uomo che dal 2019 è il peggior incubo del ‘sultano’ Recep Tayyip Erdoğan.
52 anni, niente baffi, esponente di spicco di quelli che in gergo vengono definiti “turchi bianchi” (Beyaz Türkler) – la classe di intellettuali e imprenditori borghesi che strizzano l’occhio al progressismo laico. Un passato da portiere di calcio ma anche da sindaco di Beylikdüzü, un comune nella periferia europea della metropoli eurasiatica.
È lui il vero vincitore delle elezioni locali tenutesi domenica in Turchia. 4.432.862 voti (51,14%) – oltre un milione in più rispetto ai 3.431.588 del rivale AKP Murat Kurum (39,59%), il placido ex ministro dell’Ambiente che non è mai veramente decollato nei sondaggi. Destinato alla sconfitta, ha fatto persino peggio – riuscendo a perdere roccaforti islamiche tradizionalmente filo-Erdoğan come Üsküdar ed Eyüpsultan. E poco c’è mancato che l’AKP perdesse anche a Fatih, il quartiere con la più alta concentrazione di sette islamiche sufi dell’intera Turchia e bastione dell’elettorato conservatore. Qui, su circa 200.000 voti, la differenza tra il partito islamico (AKP) e quello repubblicano-laico (CHP) è stata di appena 7.000 preferenze.
Secondo gli analisti elettorali, il trionfo dell’opposizione è frutto della decisione di migliaia di simpatizzanti conservatori di non recarsi alle urne, oppure di esercitare il voto di protesta. Due i motivi principali: il carovita galoppante (l’inflazione a febbraio era al 55,9%: il costo di affitti e generi alimentari è praticamente raddoppiato rispetto a un anno fa) e la difficile convivenza con oltre mezzo milione di rifugiati siriani (la battaglia contro l’immigrazione vede paradossalmente la sinistra, paladina dei confini chiusi, accusare la destra di permettere una “invasione araba”).
“Hanno vinto 16 milioni di abitanti di Istanbul ma non ha perso nessuno”, ha commentato a caldo İmamoğlu, che si è rivolto alla folla entusiasta radunatasi davanti al municipio, affiancato dalla moglie Dilek e dai tre figli Selim, Semih, e Beren. “Auguro buona fortuna ai 16 milioni di persone che aggiungono valore a questa città e alla sua diversità”, ha proseguito la nuova stella della politica turca mentre la folla lo invitava ad arrotolarsi le maniche della camicia bianca (ormai un passaggio obbligato dei suoi comizi).
“I nostri elettori hanno fatto una scelta molto importante, decidendo di inaugurare una nuova politica in Turchia”, gli ha fatto eco Özgür Özel, segretario del partito kemalista, stavolta in un discorso televisivo. “Il CHP ha ottenuto un risultato storico e ha deciso come governare il nostro Paese e i nostri comuni”, ha aggiunto.

Il quadro è decisamente favorevole anche nella capitale Ankara, dove il repubblicano Mansur Yavaş ha ottenuto oltre il 60% dei voti, lasciando all’islamista Turgut Altınok un misero 31%.
È un boccone amarissimo per Erdoğan – che appena l’anno scorso era riuscito a battere l’intera opposizione e venire riconfermato presidente per il terzo mandato consecutivo. E che forse sperava in una tornata elettorale favorevole che lo abilitasse a stravolgere – di nuovo – la Costituzione per permettergli di rimanere al potere come già fatto in Russia da Putin.
“Non abbiamo ottenuto il risultato che volevamo in queste elezioni amministrative. I risultati delle urne ci mostrano che abbiamo perso quota. Discuteremo le ragioni di questa regressione locale e identificheremo i problemi, adottando le misure necessarie”, ha dichiarato dal balcone del quartier generale AKP ad Ankara. Un approccio insolito se si considera che nel 2019 lo stesso Erdoğan aveva chiesto a gran voce che si tornasse a votare dopo lo shock di aver perso Istanbul dopo 15 anni. In quel caso la strategia fu tutt’altro che vincente, dato che nelle elezioni-bis il divario tra CHP e AKP si ampliò da 14.000 a 800.000 voti.
Il presidente 70enne si era personalmente speso in campagna elettorale. Soprattutto a Istanbul, dove la sua faccia era costantemente affiancata a quella del candidato Kurum, come era già successo nel 2019. Riprendersi la metropoli sul Bosforo dopo lo ‘smacco’ del 2019 non era solo un imperativo strategico ma anche un’ambizione personale, dato che Erdoğan ci è nato e ne è stato sindaco dal 1994 al 1998.
E ora gli occhi sono tutti puntati sul 2028, quando la sfida tra Erdoğan e İmamoğlu potrebbe mettere in palio il governo del Paese fondato da Atatürk. Secondo i critici, il leader turco avrebbe già iniziato a prepararsi, non solo studiando una maniera di ri-candidarsi (nonostante la Costituzione non lo preveda) ma contemporaneamente affossando la campagna del rivale.
Sul capo del sindaco Ekrem pende infatti una pericolosa sentenza per aver offeso il Supremo Consiglio elettorale turco che, oltre a costargli due anni di carcere, lo potrebbe interdire per cinque anni dai pubblici uffici. L’esecuzione della condanna è tuttavia sospesa in attesa che sul punto si pronunci la Cassazione di Ankara. L’anno scorso, un altro tribunale ha avviato un procedimento contro Imamoğlu con l’accusa di manipolazione di gare d’appalto, che prevede una pena detentiva da tre a sette anni.

Nel resto della Turchia, il CHP ha vinto nella roccaforte laica Smirne – dove Cemil Tugay ha battuto Hamza Dağ dell’AKP -, ma anche a Bursa, Antalya, Adana, e Mersin. L’AKP ha invece tenuto a fatica in Anatolia, arrivando primo a Konya, Gaziantep, Kayseri, Samsun, Kahramanmaraş, ed Erzurum.
A livello nazionale, infine, il CHP ha ottenuto complessivamente 17.391.548 voti (37,76%), rispetto ai 16.339.771 dell’AKP (35,48%) e ai 2.297.662 (4,98%) dei nazionalisti dell’MHP alleati di Erdoğan.