Tutto, o quasi, scontato nelle primarie di ieri in cui il presidente Joe Biden, democratico, e Donald Trump, repubblicano, sono rimasti gli unici candidati in gara. Già da una settimana entrambi hanno ottenuto il numero minimo di delegati necessari: 1.968 per il primo e 1.215 per il secondo per la nomina. Saranno loro che questa estate, alle convention dei rispettivi partiti, prima quella repubblicana, dal 15 al 18 luglio a Milwaukee (Wisconsin), e poi quella democratica, dal 19 al 22 agosto a Chicago (Illinois), verranno ufficialmente incoronati per la sfida alle presidenziali del 5 novembre.
Ieri si è votato in Ohio, Arizona, Florida (solo GOP), Kansas e Illinois e, dato che è tutto già deciso, c’è stata una scarsa affluenza alle urne. Biden ha ottenuto circa l’89% delle preferenze e Trump il 76%.
Il voto di ieri, comunque, ha evidenziato ancora una volta che l’elettorato non è soddisfatto dei candidati: il 20% dei repubblicani non vuole Trump, un fatto questo che potrebbe rivelarsi cruciale alle elezioni di novembre. Anche Biden si trova ad affrontare un elettorato democratico demotivato. In Kansas il voto “non impegnato”, che punta a inviare delegati dissidenti alla convention del partito, ha superato il 10% e in Ohio il suo avversario Dean Phillips, anche lui non più in corsa per le primarie, ha raccolto il 13% delle preferenze.
Per Trump la maggioranza dei voti dei repubblicani che non vogliono il suo ritorno alla Casa Bianca è andata a Nikki Haley, l’ex governatrice della South Carolina che si è ritirata dopo il Super Tuesday. In Ohio il 18% degli elettori repubblicani ha detto che non voterà per lui a novembre e, secondo ABCNews, il 10% di questi hanno affermato che a novembre si schiereranno per Biden. In Arizona, Stato chiave con un importante voto ispanico, Nikki Haley ha ottenuto circa il 20% dei voti.

Per l’ex presidente il voto di ieri mette in risalto il difficile equilibrio di conciliare i suoi fedelissimi MAGA con la base moderata repubblicana. Nikki Haley era vista come una candidata più controllata, che ha dimostrato di essere in grado di ottenere il sostegno degli elettori indipendenti e dei repubblicani di “Never Trump”.
Ieri in Ohio Bernie Moreno, il candidato negazionista sostenuto da Trump, ha sconfitto i compagni di partito più moderati, il senatore Matt Dolan e il segretario di Stato Frank LaRose. A novembre Moreno affronterà il collaudato senatore democratico Sherrod Brown, che rappresenta l’Ohio, prima alla Camera e poi al Senato, dal 1983. Moreno, che è nato a Bogotà, in Colombia ed è proprietario di una catena di autosaloni a Cleveland e Cincinnati, alle scorse elezioni presidenziali ha contribuito con 4 milioni e 200 mila dollari alla campagna elettorale di Trump. Da molti repubblicani Moreno viene visto come un candidato inadatto, senza nessuna esperienza politica, troppo estremista, per confrontarsi con un esperto politico come Sherrod Brown. Secondo il Cook Political Report, l’Ohio si colloca accanto ad altri tre stati “confusi”, quelli in cui l’elettorato ha voglia di cambiamento, ma poca attrazione per i candidati in gara. Nel 2022, molti dei candidati MAGA sostenuti da Trump hanno perso le elezioni in Stati come Pennsylvania, Georgia e Arizona, e ora la decisione di sostenere Moreno potrebbe costare al GOP il tentativo di riprendere la maggioranza al Senato.
I’m so grateful for the resounding support of Ohioans in all 88 counties. I thank Matt Dolan and Frank LaRose for a spirited primary contest. I look forward to uniting our party and working to send Sherrod Brown packing in November!
— Bernie Moreno (@berniemoreno) March 20, 2024
Ma da qui alle elezioni ci sono tante varianti: i casi penali di Donald Trump, l’età di Joe Biden, le guerre a Gaza e in Ucraina, i migranti alla frontiera, l’inflazione. Tutti fattori che influenzeranno l’elettorato. A novembre, proprio per il farraginoso sistema elettorale americano, l’elezione sarà probabilmente decisa da circa 3 milioni di elettori. Si tratta di meno dell’1% della popolazione.
Questo confronto ripetuto tra Biden e Trump avrà conseguenze enormi per il Paese. Il potere esecutivo sarà controllato da un demagogo un po’ malandrino con impulsi autocratici che ha cercato di ribaltare le ultime elezioni? Oppure da un presidente ottuagenario? L’America continuerà a sostenere l’Ucraina nella sua battaglia contro la Russia? Cosa succederà se Trump sarà riconosciuto colpevole di un reato che comporta la prigione? Incendi, tempeste, uragani, allagamenti e tornado hanno devastato il Paese, verranno prese le misure necessarie per affrontare la crisi climatica? Può il Paese andare avanti con una Camera disfunzionale controllata da una minoranza estremista? Molte delle risposte saranno date dagli elettori, altre restano imponderabili.
Nel 2020 c’erano sette Stati in cui il margine di vittoria era inferiore al 3%: Georgia (0,3%), Pennsylvania (1,2%), Michigan (2,8%), Wisconsin (0,6%), Arizona (0,4%), Nevada (2,4%) e Carolina del Nord (1,3%). Biden ha vinto sei di questi Stati, perdendo solo la Carolina del Nord. Nel 2016, Trump ha trionfato in sei di questi sette Stati, con Hillary Clinton che ha raccolto i voti in Nevada. Questi sono chiaramente gli stati chiave per il 2024. (Florida e New Hampshire erano “incerti” nel 2016, ma non più nel 2020). Questo gruppo di stati vengono definiti, “Stati altalena”.
In totale, nelle elezioni del 2020, gli “Stati altalena” hanno avuto 30,6 milioni di voti: 15,4 milioni sono andati a Biden, 15,2 milioni a Trump. E questi stessi Stati saranno con molta probabilità quelli dove, ancora una volta, si decideranno le elezioni di novembre.
Infine ieri è ricomparsa in pubblico Melania Trump che, accanto al marito, andava al seggio di Palm Beach, per votare. Ai giornalisti che le chiedevano se prevede di impegnarsi nella prossima campagna elettorale, l’ex first lady si è limitata a dire, sorridendo, “rimanete collegati”.