È uno scontro tra titani delle lobby quello che si sta combattendo a Washington su TikTok. C’è chi vuole abolirlo, chi vuole che resti così come è ora… E chi se ne vuole impossessare “per difendere la patria”.
La Camera scalpita e vota una proposta di legge che costringe la società che la controlla, ByteDance, a cedere TikTok a un proprietario non cinese, pena il bando dagli smartphone americani. Il Senato prende tempo. Come scusa viene detto che il veto potrebbe essere bocciato dalla Corte Suprema perché viola il principio costituzionale della libertà di espressione. La Casa Bianca ha mantenuto una linea dura, vietando ai dipendenti federali di scaricarla sui telefoni di lavoro, ma senza arrivare al bando per poi fare una conversione di 180° gradi dopo che ha realizzato che il bando sarebbe un suicidio politico tra gli under 35 a pochi mesi dalle elezioni. E il ticket Biden-Harris ha aperto un account elettorale su TikTok, in occasione del SuperBowl. E non solo Biden. Anche Trump che quando era presidente aveva provato a togliere la piattaforma dalla proprietà cinese per affidarla a qualche colosso tecnologico amico, senza riuscirci, ora ha cambiato idea e si oppone al bando dopo che un importante investitore, l’hedge funder Jeff Yass, è andato a Mar A Lago a una raccolta fondi per la sua campagna. Ora Trump afferma che il bando sarebbe un favore a Facebook, il social che lo ha sospeso per due anni a causa dell’insurrezione del 6 gennaio 2021.
In questa confusione i lobbisti affilano le armi. L’ex deputato democratico Joe Crowley dirige l’orchestra come lobbista per TikTok. Ora Crowley è il direttore politico senior dello studio legale multinazionale Dentons. Con lui anche l’ex deputato Jeff Denham, repubblicano, e insieme hanno organizzato un incontro tra il CEO di TikTok, Shou Zi Chew, e i parlamentari.
ByteDance, la società proprietaria di TikTok, ha investito milioni in attività di lobbying. Secondo una analisi fatta da OpenSecrets sui documenti depositati al Lobbying Disclosure Act, ByteDance ha investito quasi 18 milioni di dollari in attività di lobbying.
ByteDance da mesi lavora al cosiddetto ‘Project Texas’, una soluzione per cercare di mantenere il controllo della piattaforma, portando però server e dati dei cittadini americani (al momento sparsi per il mondo, soprattutto a Singapore) in Texas. Un modo questo che darebbe la possibilità alle autorità locali di ‘vedere’ gli algoritmi che decidono quali sono i video da mostrare agli utenti, in modo da eliminare il rischio della propaganda. “Il problema – scrive il New York Times – è proprio negli algoritmi: TikTok non li possiede. Appartengono a ByteDance, che ha una squadra di ingegneri che assembla in gran segreto i codici originari che regolano gli algoritmi. E la Cina ha da poco varato un regolamento che impone, tra le altre cose, il permesso del governo per cedere gli algoritmi agli stranieri”. Insomma il Project Texas farebbe vedere le scelte degli utenti, ma non come le gli algoritmi vengono programmati per fare queste scelte.

In questo scenario abbastanza confuso l’ex segretario al Tesoro dell’amministrazione Trump, Steven Mnuchin, ha annunciato di aver creato con il suo fondo Liberty Strategic Capital, una cordata per acquisire TikTok. Mnuchin, ex partner di Goldman Sachs, è un mito per i repubblicani. La sua riforma delle tasse del 2017 è considerata il Vangelo fiscale: aumentare le tasse ai ricchi solo se si aumentano anche le deduzioni fiscali, ridurre le tasse ai ricchi solo se si riducono anche le deduzioni fiscali. Una regola per fare in modo che chi vive solo di proventi da capitale abbia un gettito fisso. Una regola, tanto che si chiama “Mnuchin Rule”, osannata da Wall Street e dai suoi investitori.
Quindi quando Mnuchin dice di essere interessato a una azienda, il mondo politico ed economico americano presta attenzione. Poco importa quanto TikTok costi. Per Mnuchin che, secondo il New York Times, tra l’altro amministra i miliardi dei fondi sovrani sauditi controllati dal principe ereditario Mohammed bin Salman, i soldi “non sono un problema”. La sua azienda, Liberty Strategic Capital, si autodefinisce “focalizzata sugli investimenti in società tecnologiche globali dinamiche”. Fino alla settimana scorsa solo uno dei principali investimenti della sua azienda aveva fatto notizia. Si trattava di una partecipazione di minoranza nella Lionsgate, gli studio cinematografici che hanno prodotto Nurse Jackie e Mad Men. Mercoledì scorso la sua azienda con 450 milioni di dollari è intervenuta sulla New York Community Bank, tornando così nel mondo bancario. In passato Mnuchin era a capo del gruppo che acquistò la fallimentare azienda di prestiti immobiliari subprime IndyMac nel 2009, un anno dopo che la Federal Deposit Insurance Corporation, aveva messo la banca in amministrazione controllata. Mnuchin la ribattezzò con il nome di OneWest. Le sue disinvolte pratiche di pignoramento gli fecero pagare milioni di dollari di multe per risarcire i clienti imbrogliati. Ciò nonostante OneWest divenne la maggiore banca della California del Sud che Mnuchin vendette al CIT Group per 3,4 miliardi di dollari nel 2014 entrando nel gruppo del Board of Directors. Quando Mnuchin lasciò CIT meno di due anni dopo, ha ricevuto un pacchetto di buonuscita di 10,9 milioni di dollari.
“È un ottimo affare e ho intenzione di mettere insieme un gruppo per acquistare TikTok”, ha detto Mnuchin ai microfoni di CNBC. “Anche se TikTok probabilmente non è redditizio vale lo stesso un sacco di soldi”, ha detto Mnuchin, aggiungendo che Donald Trump approverebbe l’operazione. Poco importa che la manipolazione degli algoritmi passerebbe dalle mani cinesi in quelle saudite, ma questo è passato quasi inosservato, mentre viene evidenziato che ci potrebbero essere problemi di antitrust soprattutto se Jeff Bezos, Sundar Pichai, Mark Zuckerberg o Elon Musk fossero interessati a catturare i 170 milioni di utenti di TikTok.