Alta tensione fra Stati Uniti e Ungheria, certificata dal discorso tenuto a Budapest dall’ambasciatore statunitense David Pressman in occasione del 25esimo anniversario dell’ingresso dell’Ungheria nella Nato. Un discorso che fa seguito alla visita irrituale del premier ungherese Viktor Orban al candidato alla Casa Bianca Donald Trump della settimana scorsa.
Pressman ha tenuto un discorso dai toni poco diplomatici sottolineando che il paese alleato si comporta in modo diverso da tutti gli altri, “con la sua relazione stretta e in espansione con la Russia” e con “messaggi antiamericani pericolosamente isterici”. Il termine usato è “unhinged”, squilibrato, pazzo, come se in gioco ci fosse proprio la salute mentale del premier ungherese. Noto per essere un convinto difensore dei diritti umani, Pressman mantiene da mesi toni critici verso Orban per il suo allineamento con Putin.
Il New York Times ricorda che “alcuni funzionari degli Stati baltici, tra i più ferventi sostenitori dell’Ucraina, si sono chiesti se l’Ungheria debba essere costretta a uscire dalla NATO, ma i funzionari e i diplomatici americani non hanno mai sollevato pubblicamente questa possibilità”. Pressman tuttavia ha affermato che “le legittime preoccupazioni per la sicurezza – condivise dai 31 alleati dell’Ungheria – non possono essere ignorate. Questo discorso riguardo un amico di lunga data, un paese alleato che dice e fa cose che minano la fiducia e l’amicizia. Non è possibile ignorate il presidente del parlamento ungherese quando asserisce che la guerra di Putin in Ucraina in realtà è ‘condotta dagli Stati Uniti'”.
“Non possiamo comprendere né accettare che il primo ministro identifichi gli Stati Uniti come un “avversario” del nostro alleato, l’Ungheria, o le sue dichiarazioni che il governo statunitense vuole spodestare il governo ungherese, letteralmente, per ‘sconfiggerlo'” ha proseguito Pressman. “Il governo Orban forse vuole aspettare che il governo Usa lasci il potere ma gli Stati Uniti certamente non aspetteranno l’amministrazione Orbàn. Mentre l’Ungheria aspetta, noi agiremo”.
Una settimana fa, Orban – l’uomo che nel 2014 annunciò l’intenzione di costruire una “democrazia illiberale”, promessa mantenuta fra l’altro con limitazioni alla libertà di stampa – era a Mar-a-Lago con Donald Trump. Dopo l’incontro ha detto che se Trump vincerà, “non darà un penny all’Ucraina”, tanto per essere chiari, perché è “un uomo di pace”. Il presidente Joe Biden in un comizio a Filadelfia ha reagito dicendo “Orban vuole la dittatura”. Controreazione di Budapest: convocazione dell’ambasciatore Pressman.
La tensione è alta ma il problema Orbàn non riguarda solo la Nato e gli Stati Uniti. L’Ungheria è membro dell’Unione Europea, sanzionata varie volte e apertamente criticata per la repressione della libera espressione, i controlli sulla magistratura, le alterazioni dell’equilibrio istituzionale provocate da Orbàn e dal suo partito Fidesz.
Ed è anche un problema italiano: Viktor Orbàn è amico e aperto alleato di Giorgia Meloni, che conta su vari partiti di destra per creare una maggioranza di destra a Bruxelles nelle prossime elezioni europee di primavera. Solo che la presidente del Consiglio una volta a palazzo Chigi ha assunto posizioni apertamente atlantiste, che ora sono in netta controtendenza rispetto all’amico ungherese.