Qualcuno – come la cantante Billie EIlish, a 22 anni già al suo secondo Oscar con What Was I Made For dalla colonna sonora di Barbie – portava una spilletta rossa per chiedere il cessate il fuoco a Gaza; ma il conflitto israelo palestinese è tema così delicato che alla 96esima cerimonia per la consegna degli Oscar pochi ne hanno parlato. Ha fatto irruzione però quando sul palco è salito a prendere l’Oscar l’inglese Jonathan Glazer, il regista di The Zone of Interest, vincitore del premio per il miglior film straniero (è girato in tedesco).

Il film racconta la vita borghese di Rudolf Höss, comandante del lager di Auschwitz, e di sua moglie con figli e servitù nella loro linda villetta confinante col muro del lager, le cui atrocità non si vedono mai ma sono sempre presenti negli incubi dei bambini, nella colonna sonora costante di sottofondo fra spari e urla, in mille riferimenti obliqui (il film ha vinto anche per il Miglior sonoro).

Glazer, che è ebreo, ha sempre detto che La zona di interesse parla di oggi come di ieri e delle nostre coscienze di fronte alle atrocità della storia. Lo ha ribadito sul palco degli Oscar: “Il nostro film mostra dove ci conduce la deumanizzazione al suo peggio. Ha informato tutto il nostro passato e il nostro presente”. Ha proseguito condannando tutta la violenza in Medio Oriente: “Che siano le vittime del 7 ottobre in Israele o l’attacco che continua a Gaza, tutte le vittime di questa deumanizzazione, come resistiamo?”
Glazer ha anche aggiunto una critica diretta a Israele, perché è terribile “che l’ebraismo e l’Olocausto siano presi ostaggio da un’occupazione che ha portato al conflitto per così tanti innocenti”.
Ha parlato di pace anche Cillian Murphy, l’attore irlandese vincitore come Miglior attore per il suo ritratto scarnificato, ossessionato di Robert Oppenheimer nel film di Christopher Nolan grande vincitore della serata (ha ottenuto anche il Miglior Film, la Miglior Regia, la colonna sonora, il montaggio, la fotografia, e il miglior attore non protagonista con Robert Downing Jr). “Abbiamo fatto un film sull’uomo che ha creato la bomba atomica, e per il meglio o per il peggio viviamo tutti nel mondo di Oppenheimer” ha detto Murphy accettando il suo premio. “Davvero vorrei dedicare questo Oscar a chi fa la pace, ovunque”.

E a proposito di guerra, anche l’Ucraina: il Miglior documentario è andato senza sorprese a 20 giorni a Mariupol, reportage dal fronte della resistenza ucraina contro l’invasione russa, girato dal reporter Mstyslav Chernov prima di fuggire dalla città. “Questo è il primo Oscar nella storia dell’Ucraina” ha detto Chernov “e sono onorato, ma potrei essere il primo regista a dire che vorrei non aver mai fatto questo film, vorrei poter scambiare questa statuetta con una storia in cui la Russia non avesse mai attaccato la nostra città e la nostra terra”. Ha proseguito chiedendo il rilascio degli ostaggi, ringraziando “tutti i soldati che stanno proteggendo la loro terra” e augurandosi “che le persone di Mariupol non vengano mai dimenticate. Perché il cinema crea i ricordi e i ricordi creano la storia. Slava Ukraini!”
A proposito di Russia, di pace e delle nostre coscienze, la sezione In Memoriam della cerimonia in cui ogni anno si ricordano gli scomparsi, si è aperta con un omaggio al dissidente russo Aleksej Navalny da poco morto in un carcere della Siberia, con una clip dal documentario Navalny che l’anno scorso vinse l’Oscar. La frase, in bianco su sfondo nero, citazione del politico morto, dice “La sola cosa necessaria per il trionfo del male è che la gente perbene non faccia nulla”.